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Attualita'

AI: il nuovo terreno di scontro tra Usa e Cina

Maria Lucia Panucci
5 Febbraio 2025
AI: il nuovo terreno di scontro tra Usa e Cina
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Lo sviluppo rapido e a basso costo di DeepSeek suggerisce che la Cina ha qualche asso nella manica anche sul fronte dell’intelligenza artificiale, finora predominio dei giganti tecnologici Usa. Il punto con l’esperto Pierguido Iezzi

A fine gennaio i titoli tecnologici hanno subito perdite in tutto il mondo, preoccupati che l’emergere di un modello cinese di intelligenza artificiale a basso costo potesse minacciare il predominio degli attuali leader nel settore dell’intelligenza artificiale. L’emergere di DeepSeek ha sollevato dubbi sulle motivazioni alla base della decisione di alcune aziende tecnologiche statunitensi di impegnare miliardi di dollari in investimenti in intelligenza artificiale. L’app è salita in breve tempo in cima alla classifica di Apple Store, spodestando ChatGPT di OpenAI, e gli addetti ai lavori ne hanno elogiato le prestazioni e le capacità di ragionamento.

Più piccolo e meno costoso, il suo modello non solo ha messo in discussione il predominio degli attuali leader dell’intelligenza artificiale, Nvidia in primis, ma ha anche scatenato una corsa tra i suoi concorrenti nazionali per aggiornare i propri modelli di intelligenza artificiale. Ne abbiamo parlato con Pierguido Iezzi, esperto di cybersicurezza ed AI.

Si sta delineando un nuovo campo di confronto tra Stati Uniti e Cina?

«Senza dubbio, l’arena del confronto geopolitico tra Stati Uniti e Cina si sta ampliando, includendo sempre più il settore dell’intelligenza artificiale (IA) e delle tecnologie digitali avanzate. Questa competizione tecnologica si sta intensificando con l’emergere di nuovi attori cinesi, come DeepSeek e Qwen, che hanno dimostrato una sorprendente capacità di sviluppare modelli di IA altamente performanti con costi e tempistiche apparentemente ridotti rispetto alle controparti occidentali. Ciò rappresenta una sfida diretta alla supremazia tecnologica statunitense, storicamente consolidata da colossi come OpenAI e Meta. Mentre gli Stati Uniti, soprattutto sotto la seconda presidenza di Donald Trump, puntano su progetti ambiziosi come Stargate per rafforzare la propria egemonia digitale, la Cina adotta strategie più agili e decentralizzate, facendo leva sull’innovazione open-source e su un ecosistema di partnership industriali e governative completamente integrate. Un binomio ovviamente non fattibile in un economia liberale come quella occidentale».

Cos’è DeepSeek e a cosa si deve il suo straordinario successo?

«DeepSeek è un avanzato modello di intelligenza artificiale sviluppato in Cina, che ha rapidamente guadagnato notorietà internazionale grazie alle sue prestazioni di alto livello ottenute con un apparente investimento modesto di soli 6 milioni di dollari. DeepSeek ha sfruttato un hardware meno sofisticato e un volume di dati di addestramento ridotto, riuscendo comunque a imporsi nel mercato globale. Il suo successo è stato amplificato dal fatto che è diventato l’app gratuita più scaricata sugli store statunitensi, superando persino ChatGPT. Tuttavia, permangono dubbi sulla trasparenza dei dati finanziari e tecnici dichiarati: le accuse di Openai relative alla violazione della proprietà intellettuale e alcune analisi suggeriscono che DeepSeek possa derivare da progetti preesistenti di Alibaba».

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Quali sono le ambizioni di Trump con Stargate? Si sta profilando anche uno scontro tra Elon Musk e Sam Altman oltre che con la Cina?

«Donald Trump ha delineato obiettivi ambiziosi per il futuro dell’intelligenza artificiale e delle criptovalute, mirando a riaffermare la supremazia tecnologica degli Stati Uniti. Il progetto Stargate, con una valutazione stimata di 500 miliardi di dollari, rappresenta un piano di investimento massiccio volto a consolidare la leadership americana attraverso una deregulation degli algoritmi e un’accelerazione senza precedenti nello sviluppo dell’IA. Tuttavia, questa visione rischia di entrare in conflitto con attori chiave del settore, tra cui Elon Musk e Sam Altman. Musk, da sempre preoccupato per le implicazioni etiche e il rischio di concentrazione del potere tecnologico – un fatto curioso quanto ironico -, potrebbe opporsi a una centralizzazione eccessiva, mentre Altman, CEO di OpenAI, potrebbe vedere minacciata la propria posizione di leadership da un’iniziativa di tale portata. Nel frattempo, la competizione con la Cina rimane un nodo cruciale, con Pechino che continua ad espandere rapidamente la propria influenza nel settore dell’IA attraverso strategie di sviluppo autonome e collaborazioni con realtà emergenti».

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Le restrizioni commerciali di Washington hanno davvero impedito alla Cina di accedere ai chip più avanzati? Come riesce DeepSeek a competere?

«Le restrizioni imposte dagli Stati Uniti sull’esportazione di semiconduttori avanzati verso la Cina hanno certamente creato ostacoli, ma non hanno impedito a Pechino di trovare soluzioni alternative. DeepSeek rappresenta un esempio emblematico di come la Cina stia riuscendo a innovare nonostante i limiti imposti: attraverso l’uso di tecnologia open-source e hardware meno performante, ha sviluppato modelli competitivi che sfidano il paradigma tradizionale secondo cui l’IA avanzata necessita di ingenti investimenti in chip di ultima generazione. Se questo approccio si rivelasse efficace su larga scala, potrebbe destabilizzare l’intero ecosistema degli investimenti nel settore, ridimensionando il vantaggio competitivo degli Stati Uniti e riducendo la dipendenza dell’IA da infrastrutture hardware costose e concentrate nelle mani di pochi attori».

Lo slancio verso l’IA e le infrastrutture tecnologiche è appena iniziato. A che punto siamo realmente?

«Siamo solo all’inizio di una nuova era dominata dall’intelligenza artificiale e dallo sviluppo delle infrastrutture tecnologiche necessarie per sostenerla. Gli Stati Uniti continuano a mantenere una posizione dominante grazie a colossi come OpenAI, Google e Nvidia, ma la Cina sta rapidamente colmando il divario con progetti sempre più ambiziosi come DeepSeek e Qwen 2.5 Max. Nel frattempo, l’Europa fatica a ritagliarsi un ruolo di primo piano, nonostante alcune iniziative nazionali, come quelle italiane nel contesto del PNRR, mirino a potenziare l’ecosistema digitale continentale. La crescita degli investimenti globali nel settore è destinata ad accelerare, con Paesi come il Regno Unito che puntano a diventare nuovi hub tecnologici. Tuttavia, l’Europa rischia di restare schiacciata tra le due superpotenze, senza una strategia unitaria che possa competere con la scala e la velocità degli investimenti americani e cinesi».

Il Regno Unito può competere con Stati Uniti e Cina nel settore dell’IA?

«Il Regno Unito ha espresso ambizioni significative nel campo dell’intelligenza artificiale, con l’obiettivo di potenziare le proprie infrastrutture digitali e ampliare la capacità dei data center. Tuttavia, la possibilità di competere direttamente con Stati Uniti e Cina appare limitata. Mentre le due superpotenze dispongono di risorse finanziarie enormi, di un bacino di talenti altamente specializzati e di un’infrastruttura tecnologica consolidata, il Regno Unito deve ancora dimostrare di poter scalare rapidamente. Senza un piano coordinato con il resto dell’Europa o con altri alleati strategici, è improbabile che Londra possa affermarsi come una forza dominante nel settore».

L’Italia è destinata a rimanere ai margini del gioco di potere tecnologico?.

«L’Italia non è completamente esclusa dalla corsa tecnologica, ma il rischio di rimanere marginali esiste. Tuttavia, alcune iniziative nazionali, sostenute dal PNRR, stanno ponendo le basi per un’infrastruttura digitale più solida, con investimenti in supercomputer, data center e cavi sottomarini. Questi progetti, sebbene possano sembrare frammentati, convergono in una strategia chiara delineata dal Dipartimento per la Trasformazione Digitale: fare dell’Italia il porto dei dati per l’Europa. Possiamo coprire l’intero ciclo di vita dei dati, dalla raccolta all’elaborazione e alla sicurezza, sfruttando la nostra posizione geografica come vantaggio competitivo naturale, affiancato da una visione strategica solida e un’adeguata governance tecnologica. Fondamentale in questo percorso è il partneriato pubblico-privato, che coinvolge non solo attori nazionali, ma anche eccellenze tecnologiche globali. La loro presenza può diventare un volano di crescita per il tessuto industriale italiano, composto in gran parte da PMI. Le imprese italiane che sapranno interoperare con questi colossi internazionali potranno sfruttare la loro rete e presenza globale come trampolino per la propria espansione».

Ma c’è un punto critico, conclude Iezzi: per costruire un vero zoccolo duro della sovranità digitale italiana, queste aziende devono essere protette e valorizzate, evitando che vengano progressivamente assorbite dai giganti esteri. Senza una strategia di tutela e crescita autonoma, il rischio è che l’Italia diventi solo un nodo periferico della rete tecnologica globale, anziché un attore strategico nel panorama digitale europeo.

FOTO: SHUTTERSTOCK
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