Nel Paese con le vacanze scolastiche più lunghe d’Europa — tre mesi pieni — i centri estivi dovrebbero essere una certezza per le famiglie. E invece sono un privilegio. O peggio, una roulette. Ogni anno, alla chiusura delle scuole, si ripete lo stesso copione: bando INPS in extremis, graduatorie comunali che lasciano fuori migliaia di bambini, tariffe dei centri privati fuori portata. E chi non ha una nonna libera o una babysitter da 700 euro al mese, semplicemente non sa dove mettere i figli.
Il pedagogista Daniele Novara lo aveva detto chiaramente già ad aprile, con largo anticipo sull’esplosione del problema: «Il nostro Paese ha le vacanze scolastiche più prolungate di tutta Europa e questo mette in fortissima difficoltà le famiglie che non possono permettersi tre mesi di vacanze per i loro figli e figlie».
Eppure, nonostante questo grido d’allarme, il bando INPS per il bonus centri estivi viene, come sempre, aperto solo a scuole già chiuse. Quest’anno la finestra è dal 6 al 26 giugno, quando per molti genitori la situazione è già diventata ingestibile. Non solo: l’erogazione dei fondi arriverà a dicembre, quindi mesi dopo la spesa reale.
L’aiuto INPS prevede un rimborso fino a 100 euro a settimana (massimo 400 euro) per i figli di dipendenti pubblici. Ma basta guardare un qualsiasi listino romano per capire che 400 euro non bastano nemmeno per un mese. A Roma, secondo i dati aggiornati, oltre 15.000 famiglie hanno presentato domanda per i centri estivi pubblici legati alla scuola primaria. Solo 10.600 sono state accolte. Più di 4.400 bambini restano senza una sistemazione.
E quando si resta fuori dalle graduatorie, iniziano i drammi quotidiani.
Silvia, madre lavoratrice, racconta: «Quest’anno pagherò intorno ai 300 euro, con il centro estivo comunale, dal 12 giugno al 23 luglio. E io appartengo ad una fascia Isee bassa. Se non avessero accettato la domanda di mio figlio, l’avrei dovuto tenere a casa. Ma io e mia mamma, che ci occupiamo di lui, lavoriamo entrambe. Avrei quindi provato in oratorio, mi pare a 50 euro a settimana fino a fine giugno, e sono fortunata che mio figlio è di una fascia di età sopra i 6 anni. I bambini più piccoli, se non rientrano nella lista dei comunali, devono rivolgersi ai privati, che costano uno sproposito».
Uno sproposito, appunto. Perché le tariffe medie dei centri privati a Roma — e in molte città italiane — viaggiano sui 150-180 euro a settimana. E spesso non includono pranzo, assicurazione, gite o laboratori. Con due figli, la cifra può superare facilmente i 1.200 euro al mese, equivalenti allo stipendio medio netto di milioni di lavoratori italiani.
Sui social, gruppi come Stappamamma a Roma si riempiono di richieste disperate: “Cerco centro estivo economico zona Montesacro”, “Qualcuno ha trovato qualcosa sotto i 100 euro?”, “C’è ancora posto al comunale?”. Domande che restano senza risposte. O meglio: con una sola risposta, sempre uguale — “lista d’attesa”.
Tutto questo accade in un sistema che continua a lasciare le famiglie da sole. Le amministrazioni comunali faticano a reggere la domanda e i bandi nazionali arrivano troppo tardi. Il risultato è che i centri estivi diventano un lusso a cui accede solo chi può, lasciando indietro migliaia di bambini. Eppure, proprio i centri estivi dovrebbero essere uno strumento di welfare e di diritto all’infanzia.
Per fortuna, alcune realtà riescono a tenere insieme qualità, accessibilità e inclusione. Una di queste è il Foro Italico Camp, organizzato da Sport e Salute, che ospita ogni estate migliaia di bambini dai 3 ai 16 anni con una proposta ludico-sportiva di altissimo livello.
Abbiamo intervistato il Direttore delle Risorse Umane di Sport e Salute, Riccardo Meloni, responsabile del Foro Italico Camp, per capire come si costruisce un centro estivo pubblico, efficiente e realmente inclusivo.
L’intervista integrale qui di seguito.
Come nasce il progetto del Foro Italico Camp e quali sono gli obiettivi principali, sia a livello educativo che sportivo?
«Il progetto nasce anni fa come iniziativa di welfare per i dipendenti della società e delle federazioni prevista dal Contratto Collettivo. Nel tempo è cresciuto moltissimo in dimensioni e qualità dell’offerta, estendendosi anche ai cittadini romani. Oggi partecipano sia i dipendenti, attraverso il welfare, sia i cittadini attraverso l’iscrizione libera. Gli obiettivi sono tanti: far praticare attività sportiva ai bambini dai 3 ai 16 anni divertendosi, senza connotazioni agonistiche. Usiamo un approccio ludico-sportivo con oltre 30 federazioni sportive coinvolte e la presenza anche di campioni olimpici e mondiali. In questo modo viene stimolato anche l’interesse dei bambini per l’orientamento a discipline sportive nuove e diverse. Inoltre, abbiamo progetti inclusivi per bambini con disturbi cognitivo-relazionali, seguiti da operatori dedicati».
Avete già un’idea dei numeri, di quanti bambini parteciperanno quest’anno? E qual è la fascia d’età più richiesta?
«Il camp dura 13 settimane, da fine scuola alla riapertura, eccetto la settimana di Ferragosto. Negli ultimi 2-3 anni abbiamo superato i 1.000 iscritti e siamo oltre i 2.000 partecipanti effettivi. Circa l’80% sono cittadini. Le fasce d’età sono ben distribuite tra i 3 e 16 anni, distinguendo le attività in base alla fascia di età. Il rapporto tutor-bambino è molto curato: massimo 1 a 10-15 bambini, con personale formato attraverso corsi specifici».
Quali sono le principali voci di costo per un centro estivo di queste dimensioni?
«I costi principali sono: il personale (gli operatori ludico-sportivi hanno contratti di collaborazione sportiva), il food, i materiali sportivi e gli allestimenti. Questi ultimi sono rilevanti perché bisogna attrezzare aree fisse e mobili nel parco del Foro Italico. Forniamo anche un kit di abbigliamento completo. Realizziamo un centro estivo curato in tutti i dettagli che non consiste solo in un semplice “giocare a palla” all’aperto: ci sono ring, campi, attrezzature per arti marziali, tennis, piscina, etc».
Come riuscite a mantenere economicamente sostenibile un progetto così impegnativo?
«Il costo di una settimana è di circa 150€, in linea o persino inferiore rispetto alla media romana, considerando anche la zona. L’equilibrio è delicato: ovviamente noi di Sport e Salute non abbiamo uno scopo di lucro o commerciale. Siamo una società pubblica che per missione sviluppa lo sport per tutti i cittadini, non il profitto».
Che cambiamenti avete osservato nella partecipazione dei bambini, soprattutto post-Covid?
«La partecipazione è in crescita. Abbiamo aumentato gli sport e le “special weeks” (es. canoa a Castelgandolfo, ippica etc). L’entusiasmo è alto. Un esempio emozionante che ci tengo a menzionare è quello di Caivano, tra l’altro il nostro primo centro estivo in altra sede, realizzato nel Centro Sportivo ricostruito da Sport e Salute. Una delle mamme, che ha un figlio con problemi motori, ci ha detto: adesso Giorgio corre”, sentire queste parole è la vera emozione del nostro lavoro. Inoltre, cresce l’orientamento consapevole allo sport, anche da parte dei genitori. In tutto questo abbiamo anche programmi di educazione alimentare con collaborazioni mirate».
Quali sono le sfide e le novità previste per quest’estate? E quali gli obiettivi futuri per il Foro Italico Camp?
«Il futuro prevede l’apertura di altri camp in Italia, sul modello di Roma e Caivano. Stiamo valutando collaborazioni con partner esterni per diffondere il nostro format. Per quanto riguarda le sfide vogliamo continuare a migliorare e rendere l’esperienza dello sport sempre più entusiasmante per i bambini».