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Una sfida impari resa ancora più ingiusta dall’ “oppressione” fiscale
«E io pago!» gridava il grande Totò. Solo che sarebbe il caso di aggiungere: «il doppio!». Pensate se nella biblica sfida tra Davide e Golia, il gigante indossasse pantaloncini e guantoni da boxe, mentre il pastorello, oltre a dover fare i conti con la statura, fosse anche imbardato con una palandrana di 59 chili… Suona ridicolo, eh? Eppure è ciò che succede in Italia, nella quotidiana lotta tra piccole/medie imprese e giganti del web, che, da un recente studio della CGIA di Mestre, si configura come un autentico “incontro truccato”.
«Se le nostre Pmi hanno un carico fiscale complessivo del 59,1% dei profitti, le multinazionali del web presenti in Italia, o meglio le controllate ubicate nel nostro Paese, registrano un tax rate del 33,1%», come afferma il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo. Peggio di noi solo la Francia (60,7%), contro una media europea del 42,8% (ben 16 punti in meno), in Slovenia addirittura il 31%. Se i cugini francesi ci superano, su questo sgradito podio, noi riusciamo ad essere maglia nera anche nella ancor più odiosa classifica, stilata dalla Banca Mondiale (Doing Business 2020), della DIFFICOLTA’ nel pagare le tasse: Italia e Portogallo sono al top, con ben 30, dico TRENTA giorni (238 ore per la precisione), per: raccogliere informazioni necessarie per calcolare le imposte dovute; completare le dichiarazioni dei redditi; presentarle all’Amministrazione finanziaria; effettuare il pagamento online o presso le autorità preposte. Un bel fardello di burocrazia! In Francia ne bastano quasi la metà (17). Ma come fanno i colossi del web a pagare così poco? Be’, non è affatto così semplice. Perché la metà dell’utile ante-imposte è tassato in Paesi a fiscalità agevolata, che procura un risparmio che nel periodo 2014-2018 ha sfiorato complessivamente i 50 miliardi di euro. Ma anche alcuni grandi gruppi italiani beneficiano di questo “gioco” fiscale, ecco perché all’inizio ho parlato solo di pmi e non grande impresa, che spesso sceglie di trasferire la propria sede in paesi con tributi agevolati, operazioni, ricordiamolo, assolutamente legittime e legali, ma che non tutti possono permettersi. Ragion per cui, questa partita, vede alcune squadre “dopate” e altre no (per continuare a usare una metafora sportiva), in un mercato, soprattutto internazionale, di aziende italiane che fanno export con il grosso handicap di non poter essere competitive sui prezzi, in quanto maggiormente gravate dal fisco. Ma noi non siamo come quel marito che per far dispetto alla moglie si evira, così non chiediamo che anche i big paghino il doppio, anzi, saremmo contenti di pagare anche noi la metà e senza tanta burocrazia. Invece, le piccole italiane perdono un mese ogni anno per pagare il doppio degli altri, come da buona tradizione nostrana. Ma se le tradizioni “vanno rispettate”, sempre citando il Principe De Curtis, di questa faremmo volentieri a meno.
Articolo pubblicato oggi sul quotidiano LA VERITA’ – rubrica IL CAPITALE
di: Matteo Valléro – Direttore editoriale Business24[:]