[:it]
Il commissario Arcuri firma l’ordinanza, ora manca l’ok di Colao. Dubbi sulla privacy
E’ stata scelta l’applicazione italiana per il tracciamento dei contagi del Coronavirus. Si chiamerà Immuni ed è il progetto messo a punto dalla software house milanese Bending Spoons Spa, in partnership con il Centro Diagnostico Santagostino e con la società di marketing di Milano Jakala. E’ stata la prescelta tra le oltre 300 proposte arrivate al ministero dell’Innovazione. Il Commissario per l’emergenza Domenico Arcuri ha già firmato l’ordinanza per la stipula del contratto. Ora l’app passerà al vaglio della task force di Vittorio Colao per l’ok definitivo.
L’app si basa sul bluetooth, principio cardine su cui si muove l’Europa. Proprio la Commissione Ue ha dettato infatti le regole per il sistema di tracciamento: anonimato e niente geolocalizzazione, sì a bluetooth e volontarietà. Come ha spiegato Arcuri infatti il test sull’efficacia verrà avviata attraverso una sperimentazione in alcune regioni pilota che poi verrà estesa su base volontaria. “Spero in una adesione massiccia dei nostri cittadini a sopportare e supportare questo sistema che ci serve a evitare che si possa replicare la drammatica fase precedente“, ha sottolineato. Oltre ai test regionali, ne partirà uno nelle sedi di Maranello e Modena della Ferrari: il download volontario dell’applicazione verrà proposto ai dipendenti della casa automobilistica, poi quando sarà disponibile sul mercato, a maggio, coinvolgerà ovviamente anche il resto della popolazione.
Ma come funziona l’app nello specifico? Chi scaricherà l’app Immuni avrà accesso a due sezioni. Un diario clinico per tenere nota del suo stato di salute e dell’eventuale evoluzione dei sintomi del coronavirus, senza che alcun dato lasci il dispositivo. La seconda sezione è quella di tracciamento dei contatti e si basa sulla tecnologia bluetooth, che permette allo smartphone di riconoscere e salvare i codici dei dispositivi a cui è stato vicino e hanno la app installata. Un cittadino che dovesse risultare positivo al test di COVID-19 verrà poi interrogato dal medico, dotato di una sua versione della applicazione, sulla possibilità di sbloccare, ancora volontariamente, con un codice la lista dei contatti anonimizzati di chi ha incrociato (circa 1 metro la distanza di precisione) per far arrivare una notifica a chi è a rischio contagio. Per ora non è previsto l’uso del Gps, per ricostruire i movimenti dell’infetto e non solo i suoi incontri, ma non è escluso che le autorità chiedano di integrarlo in un secondo momento.
In Europa esiste già un progetto che soddisfa questi criteri, su cui stanno convergendo Francia e Germania. Si chiama Pepp-Pt (Pan-European Privacy-Preserving Proximity Tracing) è stato messa in piedi da un gruppo di 130 scienziati e 32 fra aziende e istituti di ricerca di 8 Paesi (tra cui la Fondazione ISI di Torino).
di: Maria Lucia PANUCCI[:]