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Il Governo di Alberto Fernández insiste su uno sconto con condizioni pesanti ma per le banche non c’è possibilità
L’Argentina rischia nuovamente il default, il nono, per un Paese in perenne crisi economica. Non manca molto alla resa dei conti. Esattamente il 22 maggio prossimo scadrà il periodo di “tolleranza” di 30 giorni concesso a Buenos Aires per ripagare i creditori dei bond emessi sotto la legislazione internazionale di New York per un valore di circa 500 milioni di dollari. Un pagamento che il Governo argentino non potrà onorare e che espone il Paese sudamericano ad un nuovo default.
Le precedenti due deadline sono saltate perché i creditori hanno giudicato insufficiente la proposta di ristrutturazione del Governo argentino e nulla lascia pensare che i prossimi giorni cambieranno lo scenario. Alberto Fernández ha proposto un imponente piano di ristrutturazione del debito pubblico denominato in valore estere per un valore di 67 miliardi di dollari (su un debito complessivo di 323 miliardi pari all’88% del PIL), avanzando una proposta ai creditori che al momento è stata dichiarata inaccettabile e che prevede tre anni di congelamento dei pagamenti, un taglio al valore delle cedole al 2,33% e uno spostamento al 2030 del rimborsi del capitale.
E d’alto canto il Ministro Guzman ha ribadito che il debito argentino è “infinanziabile, inaccessibile e insostenibile“. L’offerta è quanto al momento il Paese possa permettersi, sia per le condizioni generali della sua economia, sia per l’aggravamento in seguito alla pandemia.
Ed è chiaro che il default è dato per scontato perché il Governo non può distogliere in questa fase gli impegni di spesa pubblica necessari per far fronte alla crisi. L’Argentina sta rispondendo ragionevolmente bene al Covid-19, con tassi di contagio e letalità tra i più bassi del continente, ma ciò è stato ottenuto grazie a un lockdown tra i più rigidi del mondo, quindi con lo stop a tutte le attività produttive. In recessione già da tre anni, l’economia dovrebbe soffrire nel 2020 una contrazione del 5,4%.
L’attuale crisi del debito è stata innescata soprattutto dalla crisi del peso scoppiata durante la gestione di Mauricio Macri, il presidente liberista che aveva promesso di risollevare l’Argentina affidandosi alle forze del mercato. Fallito l’obiettivo, l’economia ha continuato ad accumulare inflazione e la moneta locale a perdere valore contro il dollaro. L’accordo tra il Governo Macri e il Fondo monetario, che ha portato nel 2018 ad aiuti record per 57 miliardi di dollari, è servito a poco. Quel denaro in buona parte è già stato bruciato per pagare debiti precedenti e il dollaro non ha smesso di crescere.
di: Maria Lucia PANUCCI[:]