
Come riportato dal Rapporto 2021 sui settori produttivi, la pandemia ha avuto conseguenze disastrose su imprese di piccole e piccolissime dimensioni. Accentuato il divario già esistente tra Nord e Sud del Paese
Solo l’11% delle imprese italiane si trova in condizioni di solidità. A riportarlo è l’Istat nel Rapporto 2021 sulla competitività dei settori produttivi. Il 45% delle imprese è strutturalmente a rischio e una su tre pensa di non farcela a superare la pandemia. A livello territoriale, le Regioni più colpite sono quelle del Centro-Sud.
Il settore più colpito è quello del turismo mentre le imprese più a rischio risultano essere quelle dei settori a basso contenuto tecnologico e di conoscenza. Al contrario, l’11% delle imprese più solide sono quelle con capitale umano qualificato superiore alla media, maggiori dimensioni economiche e un più intenso utilizzo di tecnologie digitali.
A novembre 2020, quasi un terzo delle imprese considerava a rischio la propria sopravvivenza, oltre il 60% prevedeva ricavi in diminuzione e solo una su cinque riteneva di non avere subito conseguenze o di aver tratto beneficio dalla crisi.
Come si legge nel rapporto, i provvedimenti di lockdown in Italia e all’estero hanno avuto un ruolo da protagonista nella contrazione dei valore aggiunto dei settori italiani. Per quanto riguarda il contesto esclusivamente italiano, il valore aggiunto è diminuito dell’11,1% nell’industria in senso stretto, dell’8,1% nei servizi, del 6,3% nelle costruzioni e del 6% nell’agricoltura.
Tra le imprese che più di tutte hanno risento degli effetti economici della pandemia ci sono quelle legate al turismo. La quota di chi segnala seri rischi di chiusura è elevata nelle attività delle agenzie di viaggio (oltre 73%), in quelle artistiche e di intrattenimento (oltre 60%), nell’assistenza sociale non residenziale (circa 60%), nel trasporto aereo (59%), nella ristorazione (55%). Nel comparto industriale risulta particolarmente in difficoltà la filiera della moda: abbigliamento (oltre 50%), pelli (44%), tessile (35%).
A pagare il prezzo più alto della crisi sono state le imprese piccole e piccolissime, soprattutto per via del crollo della domanda interna e della liquidità. Conseguenze significative anche sul territorio a causa delle misure di contenimento della pandemia su base regionale.
In 11 regioni almeno la metà delle imprese presenta almeno due di tre criticità che le denotano a rischio Alto o Medio-alto. Le criticità considerate sono riduzione di fatturato, seri rischi operativi e nessuna strategia di reazione alla crisi. Di queste 11 regioni, 7 sono al Sud, una al Nord e tre nel Centro Italia.
Un indicatore territoriale di rischio combinato rivela come la crisi abbia accentuato il divario tra le aree geografiche: delle 6 regioni il cui tessuto produttivo risulta ad alto rischio, cinque appartengono al Mezzogiorno (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania e Sardegna) e una al Centro (Umbria). Al contrario le 6 a basso rischio basso sono tutte nell’Italia settentrionale: Piemonte, Liguria, Lombardia, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Provincia autonoma di Trento.
di: Alessia MALCAUS
FOTO: ANSA
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