
Il mercato segna +5,3% dal prepandemia, la Turchia ne vuole sempre di più. Ma l’Italia rimane indietro
Nell’anno dei cambiamenti climatici e geopolitici, almeno un settore sembra essere tornato a crescere dopo la pandemia: quello dell’olio extravergine. Secondo i dati di Exportplanning infatti questo mercato è tornato a crescere rispetto ai dati del 2018, ovvero prima della diffusione del SarsCoV19 ma soprattutto della decimazione delle piante seguita all’epidemia di Xylella, che pure se in regressione nel triennio 2015-2018 ha continuato a impattare pesantemente sulla nostra olivocoltura. Le vendite del prodotto d’eccellenza dell’agroalimentare italiano tornano a crescere del 5,3% con una domanda di 6,3 miliardi di euro, ma i maggiori consumatori sono fuori dai confini: Stati Uniti (al secondo posto con 900 milioni di euro di importazioni) e Germania, ma anche Spagna, Francia e in particolare la Turchia, che passa da una richiesta di sette milioni di euro del 2018 ai 70 milioni del 2021. Anche la Lusitania ha fame di olio: la sua domanda infatti è cresciuta di circa 44 milioni.
Anche l’Asia e il Sud America impazziscono per l’oro dell’ulivo: in Corea del Sud gli acquisti sono aumentati di 16 milioni di euro in quattro anni, mentre Giappone e Cina rimangono i principali paesi di destinazione con oltre 100 milioni di euro di import nel 2021. Segue il Sud America, dove a guidare il mercato è Rio con oltre 300 milioni di euro di import nel 2021. Messico e Colombia si attestano invece intorno a +6,5 e +4,5 % di import.
Un trend che però il nostro paese sembra non riuscire a intercettare. Al contrario dei consumi che crescono in tutto il mondo infatti la produzione italiana secondo Unaprol non andrà oltre le 230 mila tonnellate, il 30% in meno rispetto all’anno scorso: troppo poco per essere competitivi rispetto anche ai partner del Mediterraneo. La ragione? La brusca frenata della Puglia, cuore della produzione made in Italy dell’olio extravergine: nel Salento infatti, motore del mercato di settore italiano, il fitobatterio xylella continua a mietere vittime tra i pregiati ulivi (tra cui alcuni ultracentenari) per un danno di produzione del 50%.