
Le aziende lasciano sempre più spesso ai lavoratori la scelta se usufruirne o meno, tutti i vantaggi
Lo smart working è una scelta che molti manager lasciano ai lavoratori. Lo rivela PHYD, la Digital Venture di The Adecco Group, e Radical HR, club di aggiornamento e formazione continua per il mondo HR, nella “Smart working in Italia – scenari presenti e futuri”.
Dalla ricerca emerge che lo smart working si stia affermando sempre di più come un fenomeno flessibile e culturalmente accettato nel nostro paese, dove il 25% delle imprese lasciano ai propri dipendenti la libertà di scegliere i giorni in cui fare smart working. Ci sono degli andamenti positivi anche per quanto riguarda il numero di giorni concessi, che in quasi un terzo delle aziende (circa il 27%) ammonta a due giorni su cinque, mentre diminuiscono quelle che non vogliono concedere la soluzione “casalinga” ai propri dipendenti e collaboratori: il “partito degli scettici” è passato dal 14,1% dello scorso anno al 13,5%.
Sull’onda dell’entusiasmo sempre più le aziende desiderano o si stanno già muovendo per implementare policy aziendali per lo smart working: circa il 75% infatti afferma di star agendo in tal senso. Di queste il 50,6% le ha già sviluppate, mentre il 22,2% è ancora in corso d’opera. Ci sono però dei dati rilevanti da tenere in considerazione. Intanto, c’è azienda e azienda, e la sensibilità alla soluzione smartworking può cambiare drasticamente: se si guarda a quelle di grandi dimensioni con più di 10.000 dipendenti, il 68% ha già una policy aziendale sul tema; al contrario, tra le aziende con meno di 10 dipendenti, il dato scende al 25%. Inoltre, le disparità territoriali sono plateali: rispetto alle regioni del Nord, nel Sud Italia il numero di aziende che ha concordato coi dipendenti soluzioni di smart working è estremamente più ridotto. Non è l’unica criticità: il 57,8% delle aziende dichiara che lo smart working rende difficile mantenere un buon livello di engagement delle risorse; cioè in parole povere rende difficile creare un legame con il dipendente o collaboratore, incidendo così negativamente in alcuni casi su produttività e rapporto datore di lavoro-lavoratore. Inoltre, per il 56,6%, risulta difficile rendere attrattiva l’azienda e trattenere i talenti; il 48,5% fatica a trasmettere la cultura aziendale (storia, mission, prospettive e buone pratiche) tramite lo smart working.
«La riflessione sullo smart working in Italia – commenta Alessandro Rimassa, Founder di Radical HR– sta rapidamente giungendo ad un nuovo stadio di maturazione. Per quanto lo strumento sia ormai fondamentale per garantire quella flessibilità sempre più richiesta dai dipendenti, si rivela in realtà molto più efficace per le figure più senior, aumentandone anche la produttività. Al contrario, è innegabile che possa generare alcune problematicità per le figure junior, rendendo più complesso trasmettere non solo la cultura aziendale, ma anche le skill necessarie per svolgere al meglio il proprio lavoro. La riflessione sull’introduzione di modelli ibridi, quindi, è sempre più necessaria in tutti i contesti lavorativi, per riuscire a far dialogare le necessità di tutte le diverse parti coinvolte » conclude.