Ciò che resterà in Italia della multinazionale tra Genova, Napoli e Taranto, saranno nei prossimi tre anni 810 occupati e un investimento complessivo di 50 milioni di euro
Wartsila ha presentato il piano industriale nel corso del tavolo di confronto svoltosi in Regione Fvg, la sede che il ministero del Made in Italy ha indicato per la parte che riguarda ciò che resterà di Wartsila a conclusione della vertenza sulla chiusura dell’ impianto produttivo di Trieste.
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Prescindendo da chi (e con quali modalità) rileverà il cuore produttivo dell’impianto triestino della Wartsila, ciò che resterà in Italia della multinazionale tra Genova, Napoli e Taranto, saranno nei prossimi tre anni 810 occupati e un investimento complessivo di 50 milioni di euro. Qui continueranno e saranno potenziate attività di ricerca e di service.
Le parti in causa – Regione Fvg, sindacati, Confindustria, ministero – sono molto prudenti, e attendono di conoscere i dettagli dell’operazione in successivi incontri. I 50 milioni “non sono né tanti né pochi, dipende dalle linee strategiche della corporate”; bene i primi tre anni “ma non abbiamo visione su quello che avverrà dopo” commenta il presidente di Confindustria Alto Adriatico Michelangelo Agrusti; si chiarisca “la sostenibilità industriale di lungo periodo dell’azienda in Italia e nel sito di Trieste”.
Cautela anche da parte della Regione, che giudica “importante il piano” ma “sicuramente vanno fatti approfondimenti ulteriori rispetto al mantenimento del sito”, precisa l’assessore regionale al Lavoro Alessia Rosolen. Che aggiunge: “Si slega completamente nel piano la parte della ricerca e dello sviluppo dalla parte della produzione, un input dato espressamente dal Ministero”.
“Wartsila ci ha ripresentato il piano del primo febbraio al ministero, con alcuni aggiustamenti per numeri relativi ad alcune aree, noi abbiamo chiesto un approfondimento sulla sostenibilità del contenuto riguardo allo sviluppo di combustibili alternativi, ai progetti di ricerca, di sviluppo di nuovi motori dei quali uno si sta già facendo”, indica Antonio Rodà, segretario triestino della Uilm-Uil.
Critico Sasha Colautti (Usb): “l’azienda nei fatti intende diventare un mero di gestore di servizi legati alla transizione ecologica, ma oggi non c’è evidenza che il mercato garantisca la sufficiente attività finalizzata a salvaguardare l’occupazione di ciò che di Wartsila rimane in Italia dopo la chiusura della produzione”. Sarà il ministero a convocare il nuovo round su questa spinosa vicenda cominciata dieci mesi fa.
(foto ANSA)