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Economia

Le fabbriche messicane sostituiscono il “made in China” (+40%). Ma l’ambiente?

Giulia Guidi
11 Giugno 2023
Le fabbriche messicane sostituiscono il “made in China” (+40%). Ma l’ambiente?
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La strategia del governo messicano ha convinto anche il patron di Tesla, Musk, per una nuova gigafactory Grazie al basso costo di mano d’opera e trasporto, e di una vantaggiosa […]

La strategia del governo messicano ha convinto anche il patron di Tesla, Musk, per una nuova gigafactory

Grazie al basso costo di mano d’opera e trasporto, e di una vantaggiosa politica commerciale, un numero crescente di imprese trasferisce le proprie produzioni in Messico, con un’impennata di investimenti diretti dall’estero che nel 2022 hanno toccato i 35,3 miliardi di dollari, il 12% in più sull’anno precedente. Soprattutto il nearshoring, cioè dagli Usa.

Lo dicono i dati della Banca Centrale messicana (Banxico). A confermare il fenomeno è anche uno studio della Banca Mondiale, che evidenzia un aumento del 40% degli investimenti esteri in Messico negli ultimi 10 anni, contro un calo medio del 9% nei paesi sudamericani.

E nonostante gli analisti di Banxico osservino un rallentamento nel primo trimestre di quest’anno, lo Stato nordamericano – che ha registrato 578 miliardi di dollari di export nel 2022, di cui l’82% verso gli USA – si va ritagliando un ruolo da protagonista nella riorganizzazione dei processi di produzione globali. Tanto che la ministra dell’Economia messicana Raquel Buenrostro prevede “un’ondata di investimenti” nei prossimi due anni, proprio per effetto del nearshoring, la strategia aziendale che ricolloca la produzione, o parte di essa, in paesi vicini a quello d’origine, in questo caso gli Stati Uniti.

La guerra commerciale tra Usa e Cina, la rottura delle catene di approvvigionamento e le tensioni geopolitiche sono alcuni dei fattori che concorrono a spingere le aziende a spostare i centri produttivi in Messico, diventato una valida alternativa al “Made in China” anche per l’accordo di libero scambio in vigore con Stati Uniti e Canada (T-mec), oltre alla sua mano d’opera qualificata ed economica e la prossimità geografica al mercato statunitense.

Proprio questa logica, secondo il governo messicano, ha convinto il ceo di Tesla, Elon Musk, a confermare la costruzione di una ‘gigafactory’ per i veicoli elettrici di nuova generazione nello stato settentrionale di Nuevo León.

Ma l’interesse delle imprese per il Messico si riflette anche nei dati pubblicati dall‘Associazione messicana dei parchi industriali (Ampip). Stando al presidente dell‘Ampip, Sergio Arguelles, l’occupazione media dei parchi industriali nel 2022 è stata superiore al 97%, con un incremento del 30% rispetto al 2021.

Tuttavia, anche se il nearshoring rappresenta una grande opportunità di crescita economica per il Messico, esistono alcune criticità da risolvere, affinché il Paese possa beneficiare al meglio della propria posizione privilegiata.

Come spiega all’ANSA il professor di Economia, Arturo Ortiz Wadgymar, dell’Università nazionale autonoma del Messico (Unam), “non tutti gli investimenti esteri sono positivi per i Paesi che li ricevono, esiste ad esempio il rischio che alcune aziende vengano in Messico per operare con modalità non più consentite nei loro Paesi d’origine, soprattutto in materia ambientale”. E

per garantire uno sviluppo del Paese nel suo insieme, sottolinea, “è necessario incentivare le aziende a stabilirsi anche nel sud, dove c’è maggiore disponibilità d’acqua, terreni e mano d’opera”. E il difficile compito di stimolare gli investimenti e indirizzarli nei settori e nei luoghi più strategici per la crescita dell’economia messicana spetterà ora al nuovo governo, che i messicani eleggeranno nelle Presidenziali del 2024. 

(foto PIXABAY)

  • messico
  • nearshoring messico

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