
Il vero pericolo resta l’allargamento del conflitto
Il passato insegna e in molti ricordano il periodo di austerità dettato dalla crisi energetica dei primi anni 70 ma, come si sa, i tempi cambiano e con loro anche la stessa economia che, adesso, non è più categoricamente basata sul petrolio. O per lo meno non solo su quello proveniente dal Medio oriente.
In realtà l’area mediorientale resta sempre una zona particolarmente delicata non solo per la questione petrolio ma anche, se non soprattutto, per la rete di alleanze che da quel nucleo si dirama in tutto il mondo.
Per quanto riguarda, però, il problema petrolio, sebbene la rivoluzione dello shale oil ne abbia cambiato gli equilibri e l’avanzare delle energie rinnovabili ne abbia diminuito l’importanza, si tratta sempre di una materia prima indispensabile per grandi fasce dell’economia mondiale. Ed è anche bene ricordare che un terzo di tutto il greggio si estrae in medio oriente.
A proposito del petrolio, le previsioni della World Bank, prima dell’esplosione del conflitto, parlavano di un barile a 90 dollari per la fine dell’anno che, poi, nel 2024, sarebbe sceso a 81 parallelamente ad un calo di poco superiore del 4% dei prezzi delle materie prime sempre per il 2024. Attualmente, però, il prezzo del petrolio oscilla sugli 85 dollari a barile, in calo dal rialzo dei 92 dollari intravisti nelle prime fasi del conflitto. Il vero pericolo, secondo i dati della World Bank, però, resta un possibile allargamento del conflitto che farebbe schizzare i prezzi fra i 110 e i 120 dollari. Se poi, si volesse pensare al peggio, la banca suggerisce anche un quadro più drammatico: l’embargo, che cancellerebbe dai 6 agli 8 milioni di barili portando il petrolio a 140 dollari con possibili picchi fino a 157.
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