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Economia

PMI italiane: M&A come leva strategica per l’espansione internazionale

Maria Lucia Panucci
7 Febbraio 2025
PMI italiane: M&A come leva strategica per l’espansione internazionale
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Intervista a Sante Maiolica, CEO di Grant Thornton Financial Advisory Services, società partecipata di Grant Thornton che fornisce servizi di M&A, due diligence, post deal services, valutazioni, business risk services, R&R e forensic and investigation

Prosegue il processo di internazionalizzazione delle PMI italiane che continuano a puntare sulle operazioni M&A come leva strategica per l’espansione all’estero. Secondo quanto emerge dalla ricerca M&A: crossborder per l’internazionalizzazione – 2024, condotta da Grant Thornton insieme all’Università Cattolica del Sacro Cuore, l’anno appena terminato si è chiuso con ben 48 operazioni di M&A effettuate dalle PMI italiane verso l’estero, segnando una crescita di ben il 40% rispetto al 2023. Dallo studio emerge un chiaro orientamento nei confronti dei mercati europei che va di pari passo ad un interesse crescente verso i Paesi emergenti. Abbiamo approfondito il tema con Sante Maiolica, CEO di Grant Thornton Financial Advisory Services, società partecipata di Grant Thornton che fornisce servizi di M&A, due diligence, post deal services, valutazioni, business risk services, R&R e forensic and investigation.

Internazionalizzazione come leva strategica di crescita per le PMI italiane ed in questo processo risulta fondamentale il ruolo dell’M&A. Me ne parla? 

«L’internazionalizzazione delle imprese, in particolare delle PMI, rappresenta oggi una necessità strategica per garantire la crescita e la competitività sul mercato globale. In questo contesto, i processi di M&A si configurano come uno strumento sempre più utilizzato dalle aziende per accelerare i processi di espansione internazionale e mitigare le difficoltà legate alle distanze di tipo culturale, amministrativo, geografico ed economico tra Paesi. In particolare, le aziende optano per le operazioni di M&A in quanto forniscono un rapido e immediato accesso a nuovi mercati in maniera più efficace e integrata rispetto ad altre modalità di penetrazione; così facendo consolidano la propria posizione nel settore di riferimento e aumentano la competitività, diversificando allo stesso tempo il rischio riducendo la propria dipendenza da un singolo mercato. Tutto ciò senza tralasciare altri benefici tipici delle operazioni di M&A, quali l’integrazione di know-how e risorse e il conseguente sviluppo di sinergie ed economie di scala, che in questo caso possono anche spesso fare leva su costi di produzione minori o particolari incentivi del Paese di riferimento».

Quali sono i Paesi target principali e perché?

«Come evidenziato nella ricerca condotta, le Piccole e Medie Aziende italiane continuano a preferire il mercato europeo. Ciò è il risultato di una combinazione di fattori storici, culturali, economici e politici, ma nella sostanza il motivo è molto semplice: il contesto europeo è preferito perché più vicino e conosciuto. Scegliere Paesi di confine, presuppone confrontarsi con una cultura – nel senso più ampio del termine – molto simile alla nostra, facilitando il percorso integrativo. Molte aziende italiane hanno inoltre già da tempo una lunga storia di relazioni commerciali con i paesi europei e hanno ormai sviluppato una profonda conoscenza dei mercati, degli aspetti normativi e governativi locali. Anche quest’anno il Regno Unito si è confermato come il principale Paese target, questa volta però con una importante novità: a pari merito con la Spagna. Gli investimenti nel Regno Unito sono ascrivibili al fenomeno Brexit, che ha agito da catalizzatore per le operazioni di M&A in quanto ha permesso l’ingresso in un mercato in trasformazione, superando le nuove barriere commerciali e amministrative createsi. La Spagna, dall’altro lato, continua a essere un mercato di forte interesse per le PMI italiane grazie alla vicinanza culturale e geopolitica descritta pocanzi. Non è un caso che la maggior parte delle operazioni in questa geografia abbia interessato aziende di servizi – aziende c.d. human based, dove è importante che gli attori coinvolti si comprendano e interagiscano al meglio. La Spagna, inoltre, offre una posizione privilegiata che funge da ponte verso il mercato dell’America Latina, area strategica a livello globale».

Sante Maiolica-Grant Thornton foto ufficio stampa

Quali invece i Paesi meno attrattivi per le nostre imprese?

«In generale, coerentemente con quanto sopra, abbiamo osservato un minore interesse per i paesi extraeuropei. È importante però sottolineare che la percezione di un paese come “meno attrattivo” non è assoluta, ma può variare a seconda del settore industriale e delle dimensioni dell’impresa. Ad esempio, un paese come gli Stati Uniti potrebbe intimorire una qualsiasi PMI italiana, a causa delle complessità normative – diverse tra l’altro tra i vari Stati – la dimensione della concorrenza e l’alta valutazione degli asset, ma un’azienda specializzata nel settore Tech o Pharma vedrebbe terreno fertile per accedere ai primari hub di settore e all’eccellente know-how americano. Oppure ancora, un’azienda del settore energetico potrebbe essere più interessata a investire in un paese con ricche risorse naturali, anche se questo presenta un contesto politico instabile».

Per quanto riguarda i settori quali sono quelli che riscuotono maggiormente successo all’estero?

«Premettiamo che in generale, stando ai dati analizzati, le aziende target operano nello stesso settore delle aziende acquirenti, quindi questo dimostra un processo di consolidamento in corso e non tanto di diversificazione. Il settore dei macchinari ha registrato un’impennata delle operazioni di M&A nel 2024 – registrando ben 11 operazioni completate – trainato dalla necessità di consolidare le posizioni di mercato e di affrontare le sfide poste dal contesto economico di settore sfavorevole. La fine degli incentivi Industria 4.0 ha ulteriormente stimolato la ricerca di crescita esterna, spingendo le imprese italiane ad acquisire aziende con competenze complementari e a rafforzare la propria presenza sui mercati internazionali. Un altro settore fortemente interessato è stato quello dei servizi alle imprese, con 7 operazioni registrate. La crescente domanda di servizi B2B personalizzati o specifici per i singoli Paesi di riferimento, richiede alle aziende di adeguare le proprie offerte alle richieste del mercato. La necessità di accelerare la propria trasformazione digitale, fa inoltre da motore per acquisire aziende con know-how digitale o piattaforme tecnologiche avanzate, che in alcuni casi sono più diffuse all’estero».

Il processo di internazionalizzazione delle PMI italiane proseguirà anche nel 2025? Cosa prevedete al riguardo?

«Assolutamente sì. Il trend di crescita che abbiamo osservato nel quinquennio 2019-2023 è stato mantenuto ed è notevolmente salito nel corso del 2024. Ciò, unito alle prime operazioni già annunciate in questo primo mese del 2025, ci consente di essere molto fiduciosi circa il proseguire di questa tendenza. La crescente competitività globale, la digitalizzazione dei processi e la necessità di diversificare i mercati spingono sempre più le piccole e medie imprese italiane a guardare oltre i confini nazionali e a superare la reticenza nell’oltrepassare la propria zona di comfort. Inoltre, le politiche governative estere a sostegno dell’internazionalizzazione, unite a una maggiore consapevolezza delle imprese sull’importanza di essere presenti su più mercati e, in alcuni ambiti di attività, il termine degli incentivi nazionali di settore, creano un contesto favorevole alla crescita inorganica».

Secondo voi, in generale, come supportare al meglio le Pmi che rappresentano il cuore pulsante della nostra economia, in Italia e all’estero?

«Sicuramente occorre un approccio multidimensionale. Da un lato economico-finanziario è importante, come già noto e ampiamente discusso su vari fronti, agevolare l’accesso al credito per le PMI – anche ampliando le garanzie statali in tal senso – migliorare gli strumenti finanziari esistenti e ridurre il carico fiscale soprattutto sulle aziende di minori dimensioni. Dall’altro lato è fondamentale, anche per noi consulenti, promuovere la cultura dell’innovazione, della sostenibilità e della globalizzazione, combattendo lo scetticismo e la diffidenza che ancora troppo spesso sono tipici del tessuto imprenditoriale italiano».

In definitiva, conclude l’esperto, l’internazionalizzazione delle imprese italiane è un processo complesso e multifattoriale, che richiede un impegno congiunto da parte delle imprese, delle istituzioni e degli attori economici.

FOTO: SHUTTERSTOCK
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