
Vediamo le tappe dell’incorporazione e le prossime (eventuali) mosse delle altre banche
Sono trascorsi cinque mesi dall’annuncio a sorpresa di Intesa Sanpaolo dell’offerta pubblica di scambio nei confronti di Ubi Banca: lo scorso 17 febbraio per ogni 10 azioni Ubi sono state conferite 17 di Intesa di nuova emissione. Oggi l’ops termina dopo il prolungamento di due giorni stabilito dalla Consob ma il tempo è stato più che sufficiente per il colosso guidato da Carlo Messina che, superando l’obiettivo del 66,67%, potrà procedere alla fusione delle due banche e alla cessione di 523 filiali ex Ubi a Bper, come da accordi presi con l’Antitrust, creando così un autentico gigante del credito in Europa (leggi qui). Martedì è stata decisiva l’adesione di tutto il patto di consultazione Car, che complessivamente pesa per il 19% circa di Ubi e che fin dall’inizio era stato fortemente contrario alla mossa ostile di Intesa (approfondisci qui).
Tutto questo è storia. Ma ora cosa accadrà? Ieri le adesione sono salite al 75,68%. Secondo le previsioni, oggi potrebbe andare sopra l’80%. Qualora le adesioni totali si fermassero entro il 90%, Intesa chiederà ad Ubi di convocare un’assemblea straordinaria per nominare il nuovo Consiglio di amministrazione. Da lì il board targato Intesa procederà alla cessione dei 532 sportelli di Ubi a Bper. Per accordi con l’antitrust, la vendita del ramo d’azienda deve avvenire entro 6 mesi dalla fine dell’operazione. Inizieranno anche le procedure per la fusione e incorporazione di Ubi, con conseguente delisting. La cessione delle filiali di Ubi potrebbe avvenire entro dicembre, così da arrivare all’assemblea della fusione ad aprile 2021 in contemporanea ai conti annuali. I tempi sono stati finora rispettati: oggi termina l’opas, lunedì 3 agosto Ubi presenterà la sua ultima semestrale da istituto indipendente e in quell’occasione la presidente Letizia Moratti e il ceo Victor Massiah trarranno un bilancio finale per soci e dipendenti.
Ancora più agevole il percorso in caso di un pieno delle adesioni. Qualora a Intesa venisse consegnato più del 90% del capitale sociale di Ubi (ma meno del 95%) per Intesa ci sarà l’obbligo di acquisto delle azioni Ubi rimaste in mano agli azionisti che ne facciano richiesta, anche in contanti. A quel punto, non essendo necessaria alcuna assemblea straordinaria, si procederà al delisting di Ubi e alla successiva fusione per incorporazione di Ubi, fusione che sarà attuata senza far sorgere il diritto di recesso e sulla base di un rapporto di cambio che non incorporerà alcun premio per gli azionisti di minoranza dell’emittente.
In caso di partecipazione almeno pari al 95%, invece, sarà Intesa ad avere direttamente il pallino in mano e deciderà di acquistare il capitale rimanente, sempre cash, e con successivo automatico delisting e incorporazione di Ubi, ancora una volta senza far sorgere il diritto di recesso e senza premio per gli azionisti di minoranza.
Oltre a questo ora potrebbe partire davvero il risiko bancario. Ebbene sì l’opas di Intesa Sanpaolo è stata una vera e propria sveglia: o ci si muove o si rischia di venire mangiati. Ora è da Mps, quindi dal Tesoro che ha il 68%, che potrebbe partire il risiko. Le opzioni sono una fusione con BancoBpm, che piacerebbe a Milano ma solo se il Tesoro desse una mano ad alleggerire lo sforzo di capitale richiesto o con Bper che a sua volta ha rivendicato con il ceo Alessandro Vandelli il ruolo di aggregatore. Si parla di una fusione a tre in due tempi: prima Bper-Banco Bpm, poi insieme su Mps.
Sullo sfondo resta Unicredit: l’istituto guidato da Jean Pierre Mustier continua ad escludere operazioni in Italia. Sullo sfondo si muovono le più piccole Creval, su cui vanta una sorta di prelazione il Crédit Agricole, e la Popolare di Sondrio, che però è ancora una coop. Al Sud, la Popolare di Bari sotto il cappello pubblico del Mediocredito centrale punta a creare una Banca del Sud aggregando le piccole popolari del Mezzogiorno.
di: Maria Lucia PANUCCI
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