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Trump contro i social: il mistero della Sezione 230

Micaela Ferraro
3 Ottobre 2020
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Il presidente degli USA sfida (ancora) Facebook, Twitter e Google «Nessun fornitore di un servizio informatico interattivo può essere considerato l’editore di qualsiasi informazione pubblicata da un altro fornitore di […]

Il presidente degli USA sfida (ancora) Facebook, Twitter e Google

«Nessun fornitore di un servizio informatico interattivo può essere considerato l’editore di qualsiasi informazione pubblicata da un altro fornitore di contenuti informativi».

È questo il passaggio del Communications Decency Act introdotto nel 1996 nota come Sezione 230: niente di alieno insomma, semplicemente una norma che permette a Twitter, Facebook e Google di non assumersi la responsabilità di tutto ciò che viene postato quotidianamente dagli utenti sulle piattaforme che portano il loro nome.

Mettere mano a questa norma significa sradicare le fondamenta su cui si fonda l’intero sistema dei social network di tutto il mondo. Tuttavia è proprio ciò che Donald Trump vuole fare e per questo ha presentato agli amministratori delegati dei sopracitati social media un invito a comparire davanti alla commissione per il Commercio del Senato.

Non è la prima volta che la Sezione 230 si trova al centro della bufera. Molti critici si sono già scontrati con il fatto che la legge che protegge le piattaforme social permette a chiunque di inserire contenuti nocivi senza che alcuno se ne prenda la responsabilità. Una sorta di immunità che non esiste per esempio nei giornali, in cui il responsabile è direttamente responsabile per tutto ciò che viene scritto e pubblicato.

Mark Zuckerberg, già interrogato ampiamente su questo argomento, ha spiegato durante le sue audizioni al Congresso americano nel 2018 che i social non si considerano editori: «Siamo in parte responsabili di ciò che viene pubblicato – ha sottolineato il papà di Facebook in quell’occasione – ma non produciamo contenuti».

Resta da capire se, essendo la norma datata 1996, può essere scalfita come già avvenuto per i casi di reati a sfondo sessuale.

di: Micaela FERRARO

FOTO: EPA/ANSA

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