
Secondo le più recenti ordinanze, vanno verificate le ragioni d’origine della disparità di reddito tra coniugi e l’assegno va stabilito al raggiungimento di un livello reddituale adeguato al contributo dato per la realizzazione familiare
Assegno divorzile, quando spetta? Secondo le ultime pronunce della Cassazione, non basta la differenza tra redditi ma bisogna accertare la misura del contributo dato dall’ex partner che chiede l’assegno alla formazione del patrimonio comune o di quello dell’altro ex, a cui si chiede di pagare il mensile.
Le pronunce definiscono meglio gli elementi dei principi di diritto da applicare per decidere sul riconoscimento dell’assegno divorzile, modificati dalla sentenza 18287/2018 delle Sezioni unite. Archiviato il criterio del mantenimento del tenore di vita, utilizzato fino alla sentenza 11504 del 2017 della Prima sezione della Suprema corte, i giudici ribadiscono ora le sue funzioni assistenziale e, in pari misura, compensativa e perequativa.
Secondo quanto si legge nella ordinanza 1786 del 28 gennaio 2021 della Cassazione, perché si possa considerare correttamente riconosciuto l’assegno divorzile, vanno verificate le ragioni della disparità di redditi di marito e moglie, se questa derivi da «scelte comuni di vita, in ragione delle quali le realistiche aspettative professionali e reddituali del coniuge più debole sono state sacrificate per la famiglia, nell’accertato suo decisivo contributo alla conduzione familiare, alla formazione del patrimonio di ognuno o di quello comune per la durata del matrimonio».
Dalla valutazione si estrae il riconoscimento di un contributo, che sarà volto non al conseguimento di una autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, ma al raggiungimento, in concreto, di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate.
In fase di verifica, è necessario individuare il nesso causale tra la sopravvenuta sproporzione economico-patrimoniale e il contributo fornito dalla parte richiedente. L’analisi che deve essere effettuata con la valutazione della sussistenza, caso per caso, dei presupposti assistenziali, compensativi e perequativi. Se presupposti ricorrono, sarà riconosciuto un assegno adeguato all’apporto fornito dal richiedente nella realizzazione della vita familiare in ogni ambito di rilevanza. Se, invece, questi presupposti non vengono dimostrati, l’assegno divorzile non potrà che essere negato per mancanza dei suoi presupposti.
La Cassazione, inoltre, sottolinea l’importanza di accertare l’onere – da sempre esistente in capo alla parte che chiede l’assegno divorzile – di cercare un lavoro. In particolare, secondo l’ordinanza 5932 del 4 marzo 2021, non può mai essere ritenuto irrilevante tout court il rifiuto di un impiego, anche quando non sia adeguato al titolo di studio e alle aspirazioni individuali del coniuge che chiede l’assegno. Al contrario, il rifiuto di un impiego deve sempre essere valutato in modo specifico.
Un altro aspettato rilevante affrontato dalla Cassazione, ancora in attesa di una pronuncia delle Sezioni unite, è quello relativo alla valenza estintiva della sopravvenuta convivenza more uxorio sull’obbligo di versare l’assegno divorzile. L’interpretazione dominante propende per l’automatica esclusione dell’assegno nel caso di una sopravvenuta convivenza successiva al divorzio. Dato che tra i criteri per attribuirlo si riconosce centralità al contributo dato al patrimonio familiare da parte del coniuge più debole, infatti, l’assegno non può essere escluso automaticamente dalla nuova convivenza. Potrebbe invece essere necessaria una valutazione, volta per volta, dell’esistenza dei criteri per mantenerlo o meno.
di: Alessia MALCAUS
FOTO: ANSA
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