
Si allungano i tempi di consegna e si riducono le forniture delle componenti elettroniche. Usa e Ue varano piani di investimento per il settore
La scarsità globale di chip e semiconduttori potrebbe avere impatti rilevanti sul settore degli elettrodomestici (leggi qui). Un rappresentante cinese della multinazionale Usa Whirpool ha, infatti, dichiarato che gli stabilimenti cinesi hanno ricevuto il 10% in meno dei chip ordinati a marzo. Una situazione che è stata denunciata anche da altre compagnie, come le cinesi Robam e Sichuan Changhong Electric.
Ora si teme che la mancanza di chip che compongono le parti elettroniche degli apparecchi domestici possa comportare un significativo aumento dei prezzi.
La carenza ha già avuto effetti sul settore automobilistico con tempi di consegna che hanno raggiunto le 22 settimane. General Motors, Ford, Nissan e Stellantis hanno rallentato o sospeso la produzione, mentre Volkswagen e Porsche hanno accusato una cattiva gestione della filiera che, con l’avvento della pandemia, ha dovuto fornire una risposta immediata alla crescita di domanda degli apparecchi elettronici domestici. Con il lockdown globale, infatti, la richiesta di chip è aumentata del 5,4%. Un aumento che non smbra destinato ad arrestarsi: il marchio olandese Besi, che produce attrezzature per i produttori di chip, ad esempio, ha riportato ordini record a 327 milioni di euro in crescita del 108% rispetto al trimestre precedente e del 176% rispetto allo stesso trimestre del 2020.
Anche il mondo degli smartphone comincia a pagarne le spese: Apple ha dovuto prorogare il lancio dell’iPhone 12 e sembra che anche Samsung dovrà fare lo stesso per il prossimo Galaxy Note. Questo nonostante il colosso sudcoreano produca internamente il 17% della fornitura globale di chip per un valore di 56 miliardi di dollari.
Secondo un’analisi di TrendForce, il 63% dei semiconduttori di tutto il mondo si produce a Taiwan. In particolare, il 54% della produzione è in mano a Tsmc, il cui 25% del business è collegato a Apple ma che rifornisce anche aziende progettiste come Broadcom, Qualcomm, Nvidia, Amd o Texas Instruments. Mentre il 91% della produzione è localizzato in Asia, in Usa stanno per sorgere quattro nuove fabbriche: tre in Arizona per Tsmc e Intel, e una in Texas per Samsung. Gli altri attori presenti sulla scena sono Globalfoudries, con sede in California ma controllata da una finanziaria di Abu Dhabi, e United Microelectronics di Taiwan, entrambe con il 7%.
In questo scenario sia Usa che Ue stanno operando per rifinanziare il settore. Joe Biden intende destinare 50 dei 2.000 miliardi di dollari del piano infrastrutturale al settore dei microchip, con l’obiettivo di costruire anche un centro nazionale di ricerca. L’Ue, invece, con il programma Digital Compass vuole per conseguire entro il 2030 la produzione di un quinto di tutti i semiconduttori del mondo.
di: Alessia MALCAUS
FOTO: ANSA
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