
I Paesi più coinvolti sono stati Norvegia, Israele e Uganda
Il settore delle startup agrifood sostenibili ha registrato tassi di crescita notevoli negli ultimi anni. Nel 2020, complice l’emergenza sanitaria e la maggiore attenzione delle imprese ai concetti di economia circolare e all’Agenda 2030 dell’Onu sugli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, si è verificato un vero e proprio boom. Tra il 2016 e il 2020 sono nate a livello internazionale 1.808 startup agrifood, il 56% in più di quelle dello scorso anno.
Di queste, il 40% ha ottenuto almeno un finanziamento, per un totale di 5,6 miliardi di dollari raccolti, pari a una media di circa 7,7 milioni. Per quanto riguarda i singoli obiettivi di sviluppo sostenibile, le startup lavorano soprattutto per la transizione a sistemi di produzione e consumo più responsabili, per il 35%, alla lotta alla fame per il 21% e alla crescita economica, sostenibile e inclusiva per il 17%.
Nella classifica dei Paesi in cui si sono concentrate maggiormente le startup di questo settore, spicca al primo posto la Norvegia, con il 58% di startup sostenibili, segue Israele con il 46% e l’Uganda con la stessa percentuale ma su un numero inferiore di startup. L’Italia è solo al 12esimo posto con 22 startup sostenibili sulle 76 nuove imprese agrifood censite. Tuttavia il mercato è in evidente crescita.
Uno degli aspetti più importati per le imprese di questo settore è l’attenzione all’economia circolare. «Nel comparto della trasformazione c’è un’attenzione crescente alla prevenzione degli sprechi alimentari, ma la misurazione delle eccedenze non è ancora sistematica nelle diverse fasi del ciclo del prodotto e resta un ambito su cui lavorare e investire per introdurre processi più strutturati ed efficaci – afferma Marco Melacini, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Food Sustainability – l’impegno del management verso la circolarità, il coinvolgimento del personale e l’attenzione all’opinione dei media e degli altri stakeholder e le opportunità di sinergie con gli altri attori della filiera sono i principali fattori che spingono ad adottare pratiche di economia circolare. Ma emergono diverse barriere alla circolarità legate alle difficoltà operative di gestione, alla scarsa conoscenza delle soluzioni disponibili, alle incertezze normative e a una limitata comunicazione di filiera».
Secondo un sondaggio condotto dall’Osservatorio su 109 centri di trasformazione di imprese con fatturato superiore a 50 milioni di euro, l’attenzione del comparto della trasformazione alimentare si concentra sulla prevenzione attraverso la programmazione flessibile della capacità produttiva per l’87% del campione, il miglioramento della previsione della domanda per l’83% e l’adozione di soluzioni di packaging innovativo per il 62%, oltre a tecnologie per migliorare la conservabilità dei prodotti per il 56%.
di: Micaela FERRARO
FOTO: ANSA
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