
L’analisi dell’Istituto sulla quota 41
L’Inps ha pubblicato la sua relazione annuale con l’analisi sulle tre proposte di riforma delle pensioni. Ne emerge che la più costosa per le casse dello Stato sarebbe la Quota 41, che permette il pensionamento anticipato con 41 anni di contribuzione a prescindere dall’età. Sul tavolo ci sono poi anche l’opzione al calcolo contributivo con 64 anni di età e 36 di contributi e infine l’opzione di anticipo della sola quota contributiva della pensione a 63 anni, fermo restando il limite di 67 per la quota retributiva.
Il costo per Quota 41 parte da 4,3 miliardi nel 2022 e arriva a 9,2 miliardi alla fine del decennio, pari allo 0,4% del Pil. Meno onerosa la seconda opzione, che costerebbe 1,2 miliardi con un picco di 4,7 miliardi nel 2027 con risparmi già a partire dal 2035. L’ultima proposta è quella maggiormente flessibile e con costi molto più bassi per il sistema: l’impegno di spesa sarebbe di 500 milioni nel 2022 e raggiungerebbe il massimo costo nel 2029 con 2,4 miliardi di euro.
Per quanto riguarda l’uscente Quota 100, viene sottolineato che ha permesso il pensionamento anticipato di 180 mila uomini e 73 mila donne nel biennio 2019-20.
I pensionati italiani al 31 dicembre 2020 risultano pari a circa 16 milioni, di cui 7,7 uomini e 8,3 donne. Il rapporto tra il numero di pensionati e occupati si mantiene su un livello che è tra i più elevati nel quadro europeo mentre il numero di occupati è cresciuto del 70% tra il 2001 e il 2020 e si attesta a 13 mila euro di spesa pensionistica per lavoratore. Un aumento della spesa pensionistica riconducibile non tanto all’aumento dei pensionati ma all’incremento dell’assegno medio che da 2001 a 2020 è cresciuto del 68%.
di: Micaela FERRARO
FOTO: ANSA
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