Dall’automatizzazione dei processi meccanici alla ricerca di nuovi stimoli occupazionali: ecco le tendenze che le aziende devono conoscere
Un recente sondaggio di Bain e Dynata condotto su un campione di oltre 20mila lavoratori in 10 Paesi fra i quali l’Italia ci svela quali sono i trend che indirizzeranno il mondo del lavoro.
Il punto di rottura in tal senso è rappresentato indubbiamente dalla pandemia: su questo è d’accordo il 58% dei lavoratori che ha evidenziato come sia urgente un ripensamento fra la vita professionale e quella personale.
La ricerca The Working Future evidenzia innanzitutto un cambiamento in parte già in atto che si diffonderà sempre più: le persone saranno sempre più spinte, nella ricerca del lavoro, da motivazioni personali più che da mere valutazioni economiche.
«Sebbene il compenso sia ancora sul podio delle priorità della maggior parte dei lavoratori, in Italia solo un lavoratore su cinque lo classifica come il fattore principale per la scelta di un lavoro, con la flessibilità che assume un ruolo sempre più importante» spiega la partner Bain & Company Roberta Berlinghieri.
Proprio la flessibilità costituisce già l’elemento discriminante nella scelta di un lavoro per il 12% degli italiani, come spiega la partner Bain & Company.
C’è poi il grande tema della tecnologia. L’automatizzazione dei processi è stata spesso vista come un’evoluzione peggiorativa per i lavoratori, che si vedono sostituiti da macchine nelle loro mansioni. Dall’altro lato però questo consente alle qualità tipicamente umane e non replicabili meccanicamente di avere sempre più rilevanza.
Parliamo di problem solving, creatività ed empatia. Secondo lo studio dunque assisteremo a un graduale riqualificazione della forza lavoro da attività manuali e meccaniche verso nuovi impieghi.
La tecnologia sta poi cambiando i connotati del lavoro: basti pensare alla rivoluzione dello smart working che da un lato ha ridotto di molto i costi aziendali, dall’altro mette a dura prova l’esperienza personale del lavoratore.
A tal proposito la ricerca ha evidenziato “una grande polarizzazione nei desiderata dei lavoratori italiani: il 27% preferirebbe non lavorare mai (o quasi mai) da remoto, il 17% invece opterebbe per cinque giorni a settimana di smart working“.
Tutti questi elementi concorrono poi ad alimentare una costante tensione psicologica nei lavoratori, in particolare i più giovani che si trovano ad affrontare cambiamenti repentini e preoccupazioni occupazionali. Un fenomeno particolarmente evidente in Italia dove il 64% dei lavoratori sotto i 35 anni accusa forme lievi o medie di stress.
Infine, la ricerca ha evidenziato 6 macro-categorie di lavoratori, archetipi che le aziende devono imparare a riconoscere costruendo percorsi appositi per ciascuno di essi.
In Italia la tipologia più diffusa, specialmente nella fascia di età 35-54, è quella dei Worker bees, ossia dei lavoratori che considerano la propria occupazione come un mero strumento di sostentamento e che cercano l’affermazione personale al di fuori dell’ufficio. Preferiscono quindi la stabilità all’autonomia e anche se collaborano bene nel gruppo spesso sono poco proattivi.
Le altre categorie sono givers (sono motivati nelle professioni che aiutano la vita degli altri, come i medici o gli insegnanti), gli artisans (autonomi e creativi, sono affascinati dal loro lavoro), explorers (alla costante ricerca di varietà e cambiamenti, sono pragmatici ma poco ambiziosi), strivers (puntano al successo personale e al compenso, anche se sono molto competitivi) e infine i pioneers (dedicano anima e corpo al lavoro, nel quale si identificano, rischiando di diventare intransigenti e imperiosi).
di: Marianna MANCINI
FOTO: PIXABAY
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