L’efficientamento energetico dei processi produttivi sono urgenti per 57mila società che, complessivamente, concentrano 285 miliardi di euro di debiti finanziari
La transizione ecologica costituisce al contempo una grande opportunità e una sfida: il confine fra l’occasione di rinnovamento e l’impellenza di investimenti consistenti è sottile, come rivela l’indagine Il rischio di transizione nel sistema produttivo italiano di Cerved, condotta su 683mila società di capitali pari all’80% del fatturato totale delle aziende, su 10 milioni di addetti complessivi.
Secondo il report, le società italiane che potrebbero non reggere l’impatto degli investimenti necessari alla riconversione dei processi produttivi sono almeno 35mila. Tali interventi sono particolarmente urgenti per 57mila società (l’8,4% del campione che comprende 1,3 milioni di addetti) che, insieme, concentrano 285 miliardi di euro di debiti finanziari.
Il 5% di queste (35mila aziende) non avrebbe i fondamentali necessari per sostenere queste spese senza compromettere la propria stabilità finanziaria, come lasciano intuire gli score di rischio creditizio e i bilanci.
«La transizione verso un modello più sostenibile è una straordinaria opportunità per promuovere un salto tecnologico all’interno del nostro sistema produttivo, ma implica dei rischi che dobbiamo conoscere e misurare, per guidare il cambiamento» ammette l’amministratore delegato di Cerved Andrea Mignanelli.
«Sappiamo che per molte imprese questo passaggio sarà difficile – prosegue – ma abbiamo anche stimato un potenziale di investimenti pari a 20,6 miliardi di euro da parte di 22mila società con fondamentali sani, in settori che richiederanno trasformazioni profonde».
Questi investimenti potrebbero poi trovare un importante affiancamento nelle risorse del Pnrr, da impiegare “per supportare processi di riconversione sostenibile di PMI con difficoltà finanziarie a causa del Covid, ma con prospettive interessanti, in grado di generare valore nel medio periodo“.
Il ruolo degli imprenditori, in questo caso, è quello di “misurare i propri progressi e certificare la sostenibilità della propria azienda con score e rating ESG, anche per intercettare la grande massa di risorse finanziarie alla ricerca di target sostenibili“. Una strada “obbligata” per tutte le Pmi italiane.
La ricerca ha collocato le imprese in una classifica di “rischio di transizione“, incrociando le informazioni sulle attività sostenibili e sui bilanci aziendali. In questa lista, presentano il rischio maggiore proprio i settori responsabili di più emissioni che per continuare a operare dovranno intervenire maggiormente nella riconversione.
Le attività manifatturiere si attestano invece su un rischio medio, che renderà comunque necessario un intervento per ridurre l’impatto ambientale: in questo caso sono coinvolte circa 130mila aziende, con 231 miliardi di debiti finanziari (il 25% del totale).
A livello geografico, i processi di trasformazione riguarderanno soprattutto le imprese del Mezzogiorno. Qui le aziende a rischio sono il 10,3%, rispetto alla media nazionale dell’8,4%. Anche le province più coinvolte si trovano prevalentemente al sud e sono Potenza e Taranto, seguite da Chieti, Campobasso, Avellino, Frosinone, Livorno, Terni e Aosta.
In termini settoriali, l’area più coinvolta è quella dell’agricoltura, nella quale l’89,4% delle società dovranno compiere investimenti rilevanti. Seguono l’energia e le utility (61%). Il rischio è maggiore nelle imprese più grandi, con oltre 250 addetti, coinvolte per il 16,5%; viceversa, corrono meno rischi le pmi e le micro con meno di 10 addetti (7,2%).
di: Marianna MANCINI
FOTO: PIXABAY
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