La Russia starebbe preparando un blocco delle esportazioni di materie prime e la nazionalizzazione di asset di società estere che lasciano il Paese
Al momento l’Occidente sta cercando di contrastare l’invasione militare della Russia con sanzioni internazionale di carattere finanziario ed economico. Al protrarsi della violenza corrisponde un’estensione delle misure intraprese, tanto che Mosca ha annunciato delle contro-sanzioni di risposta. Vediamo qual è lo scenario cui si andrebbe incontro.
La Russia sarebbe intenzionata a bloccare l’export verso una lista di Paesi “ostili”, fermando il commercio di circa 200 prodotti di vario genere, dall’agricoltura al legname fino alle componenti elettroniche. Rientrerebbero fra i beni vietati all’esportazione anche quelli realizzati da aziende estere in Russia tramite società controllate, quali treni, container e automobili.
A preoccupare particolarmente le economie occidentali è il blocco dell’export delle materie prime, specialmente quelle alimentari (qui abbiamo visto crescono i prezzi delle commodities). Per capire l’incidenza di una sanzione del genere, basti pensare che Russia e Ucraina forniscono insieme circa il 14% del fabbisogno mondiale del grano e sono responsabili del 25% delle sue esportazioni globali.
A tal proposito l’agenzia di rating Moody’s ha già avvisato che “l’inflazione dei prodotti alimentari potrebbe esasperare le tensioni sociali in alcuni Paesi“, visti i prezzi già alle stelle delle commodities.
Fra le materie prime bisogna poi naturalmente considerare gas e petrolio; da un lato l’Occidente sta già sperimentando gli effetti con rincari sul gasolio, dall’altro però è la stessa Russia ad aver bisogno degli introiti derivanti dalla vendita dei barili, visto che il rublo è in picchiata nei mercati ufficiali.
La Russia è anche un attore principale nell’esportazione di alluminio e nickel, oltre che di potassio e fosfati: le conseguenze di un blocco all’export, quindi, toccherebbero tanto le industrie del tech e dei semiconduttori quanto l’agricoltura e i fertilizzanti.
Parlando di società, Mosca starebbe considerando anche la nazionalizzazione degli asset delle società estere che stanno abbandonando il Paese, così come di beni presi in leasing, come gli aerei. In questo caso, però, l’impatto sarebbe più simbolico che pratico.
Queste contro-sanzioni rischiano di innescare nell’Occidente una spirale di iper-inflazione con un conseguente aumento dei tassi. Uno scenario che preoccupa le aziende produttrici che si riforniscono delle materie prime russe, ma anche i broker e gli investitori; basti pensare che il London Metal Exchange ha deciso di cancellare le transazioni di nickel dell’8 marzo per evitare un tracollo del mercato.
Infine, le ripercussioni di Mosca potrebbero passare anche dal debito: il 16 marzo scadono oltre 100 milioni di dollari di pagamenti di cedole di due bond russi, che il Paese ha detto di voler pagare in rubli. Questa scelta costituirebbe, secondo gli analisti, un vero e proprio “default event” che innescherebbe una catena di fallimenti capace di coinvolgere aziende, investitori esposti e istituzioni.
Sembra indicare questa decisione anche la scelta della Borsa di Mosca (ne abbiamo parlato qui) di rimanere chiusa fino al 18 marzo.
Dall’invasione, il rublo è crollato del 37%. Il Pil russo è già crollato del 2%, perdendo circa 30 miliardi di dollari e, secondo Bloomberg Economics, nel 2022 la contrazione arriverà a quota 9%, meno della stima dell’Institute of International Finance che parla invece del 15%.
Putin sembra voler fare leva proprio su questo: quanto l’Occidente è disposto a mettere a rischio la crescita globale del Pil assistendo al collasso economico di un Paese così rilevante?
di: Marianna MANCINI
FOTO: ANSA/EPA/ALEXEI NIKOLSKY / KREMLIN POOL / SPUTNIK /
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