
Il caso della Sardegna evidenzia le vere problematiche dell’occupazione, confermate da Filcams Cgil, Uiltucs Uil ma anche Federalberghi
Il mondo del lavoro nel comparto turistico sta affrontando una grave crisi di personale stagionale: una condizione che, in Sardegna, è ormai strutturale ma che a dispetto di quanto spesso si reclami non dipende necessariamente dal reddito di cittadinanza.
Lo aveva dichiarato anche Bernabò Bocca, presidente di Federalberghi, secondo cui “probabilmente succede perché lo stipendio base di un facchino e di una cameriera è simile al reddito di cittadinanza. Gli stipendi sono bassi e il reddito diventa per molti un alibi per non lavorare” (leggi qui le dichiarazioni complete).
Non sono della stessa opinione Filcams Cgil e Uiltucs Uil, secondo cui gli stagionali sono scoraggiati soprattutto dalle condizioni di lavoro, che in troppi casi implicano turni di lavoro pesantissimi, senza orari definiti, con straordinari non retribuiti.
Confermando il quadro, Filcams riporta di diverse testimonianze di lavoratori nel settore che spesso vengono assunti per un impiego di 6 ore e 40 al giorno ma finiscono per farne fino al doppio, senza per questo ricevere integrazioni salariali.
La segretaria regionale di Filcams Cgil Nella Milazzo parla di una “situazione di lavoro in nero, grigio, irregolare e di sfruttamento“.
«Ci sono, ovviamente, anche imprese virtuose, anche se ben poche», precisa Milazzo; aziende però che “si ritrovano a subire la concorrenza sleale di tutte quelle altre che, purtroppo, non rispettano ciò che prevede il contratto collettivo nazionale, come ferie, permessi e riposi“.
La carenza di personale è dunque afferibile a diversi fattori. La pandemia ha certamente influito, dimostrando e accentuando la precarietà del comparto degli stagionali che in molti casi hanno approfittato dell’emergenza per cambiare settore e migrare verso lavori con più garanzie e meno volatilità.
Il reddito di cittadinanza non rappresenterebbe invece un deterrente valido di per sé per i lavoratori stagionali: «se si pensa che la media di erogazione in Sardegna è di circa 450 euro, si capisce subito che le persone non preferiscono di sicuro stare a casa senza lavorare – spiega ancora Milazzo – C’è anche da dire che, soprattutto gli studenti che escono dall’alberghiero, e che devono fare la stagione, non possono avere il reddito di cittadinanza perché non ne hanno diritto, dato che vivono a casa dei genitori e non hanno iniziato un percorso lavorativo».
Viceversa, sarebbero gli stipendi del settore a scoraggiare la forza lavoro ad entrare (o a rimanere) nel comparto ricettivo: «se per un tempo pieno, che in questo settore si traduce spesso anche 10 o 12 ore di lavoro al giorno, il salario è di 700 euro al mese – afferma ancora Milazzo – mi pare chiaro che si tratti di sfruttamento ed è normale e legittimo che le persone non accettino delle simili condizioni».
Lo conferma anche un’indagine nazionale condotta dall’Ispettorato del lavoro, secondo cui nel 2020, il 70% di tutte le irregolarità certificate e accertate nel mondo del lavoro sono state individuate proprio nel settore dell’accoglienza e della ristorazione.
«Il vero problema – aggiunge Cristiano Ardau, segretario regionale Uiltucs Uil – è che da un lato, le aziende tentano di pagare il meno possibile, perché sono strozzate da burocrazia e da un gravame fiscale, dall’altro lato, il dipendente fa un sacco di ore, viene tassato e ha carichi di lavoro giganteschi». Un cane che si morde la coda insomma, dove a pagarne le spese sono proprio i più deboli.
Il reddito di cittadinanza è invece un “problema accessorio, che non ha aggravato la situazione“.
Il problema del lavoro in nero, sebbene sia certamente diminuito rispetto al passato grazie all’attuale “sistema delle ispezioni e comunicazioni telematiche“, viene poi aggirato mediante “elusione ed erosione previdenziale e contrattuale“, ossia “qualcuno che viene assicurato per poche ore e poi lavora molto di più, oppure il ricorso agli straordinari non pagati o a situazioni di cosiddetto ‘fuori busta paga“.
«Non è vero che i dipendenti siano tutti sfruttati dalle aziende – risponde il presidente di Federalberghi Paolo Manca – La maggior parte dei datori di lavoro non ha di sicuro interesse a sfruttarli, anche perché l’anno successivo non tornerebbero“.
Anche Manca, comunque, sembra rigettare la tesi del reddito di cittadinanza come deterrente: «se parliamo di baretti che assumono una persona per 20 ore part time e poi non si sa bene quante ore le facciano fare, per 700 euro al mese, lì è palese che possa anche esserci una sorta di ‘competizione’ con il reddito di cittadinanza – spiega – ma se ci riferiamo al lavoro strutturato in un albergo, nel momento in cui andiamo a forfettizzare, scopriamo che lo stipendio più basso è di 1.300 euro al mese. In questo caso, la vedo un po’ difficile che una persona preferisca prendere il reddito di cittadinanza, che arriva a 600 euro».
C’è poi la questione della cumulabilità: anche quando un imprenditore volesse fare un contratto indeterminato che prevede 8 mesi di impiego e quattro di riposo, i lavoratori non sarebbero disposti ad accettarlo perché in quei quattro mesi non potrebbero percepire alcuna indennità dallo Stato.
«In Spagna invece hanno previsto la cumulabilità del contratto a tempo indeterminato stagionale, il sussidio di disoccupazione e altri aiuti – prosegue Manca – questo permette ai datori di assumere a tempo indeterminato e, allo stesso tempo, ai lavoratori di avere un aiuto per la pausa dei mesi invernali. Però, se in Italia non si fanno delle politiche del genere, pensate per il turismo che è un settore in gran parte stagionale, come nel caso della Sardegna, non se ne esce».
di: Marianna MANCINI
FOTO: ANSA / FABRIZIO FOIS
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