
Nel 2022 il Pil si attesterà al 2,5%, con una correzione al rialzo di circa 0,4 punti percentuali rispetto alla precedente valutazione di Confcommercio. Sangalli: “rafforzare il terziario. No a scorciatoie per far crescere i salari”
Confcommercio migliora le stime del Pil: ora il dato si attesterà al 2,5%, con una correzione al rialzo di circa 0,4 punti percentuali rispetto alla precedente valutazione. Anche la spesa delle famiglie migliora di circa quattro decimi di punto rispetto alle precedenti valutazioni, mentre per l’inflazione si stima una crescita del 6,3%.
I consumi sono ancora indietro. Il +5,4% registrato nel 2021 ha permesso solo un parziale recupero di quanto perso nel 2020 (-11,5%) e solo nel 2023 si prevede un completo ritorno ai livelli pre-pandemia. Il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, durante l’assemblea annuale dell’organizzazione ha spiegato che con l’inflazione elevata si riduce il potere d’acquisto e i risparmi degli italiani, col rischio di aumentare ancora di più la frenata dei consumi.
A livello regionale l’ufficio studi di Confcommercio vede confermata la consueta dicotomia Nord-Sud: tra il 1996 e il 2019 il Pil reale del Mezzogiorno è cresciuto in termini cumulati solo del 3,4%, valore inferiore di quasi cinque volte rispetto alla media nazionale (15,3%) e di quasi 8 volte rispetto alla ripartizione più performante, cioè il Nord-Est(23,8%). In valore assoluto, nel 2022 il Pil pro capite al Sud è quasi la metà di quello del Nord: 20.900 euro contro i 38.600 euro del Nord-Ovest e i 37.400 euro del Nord-Est.
I servizi hanno lasciato sul campo della pandemia 930 mila posti di lavoro rispetto al 2019, “e ciò minaccia la capacità di ripresa dell’intero Paese, perché il terziario di mercato, cioè le nostre imprese”, non riesce più a compensare il calo dell’occupazione. E “se non riparte il terziario, non riparte l’Italia“, ha sottolineato ancora Sangalli.
E sul salario minimo il presidente si si schiera con chi ritiene che debba passare dalla “valorizzazione erga omnes dei trattamenti economici e del welfare contrattuale previsti dai contratti collettivi”. Ma avverte: «non ci sono scorciatoie per risolvere il problema dei bassi livelli dei salari italiani, dovuti alla crisi di lungo corso della produttività e alla debolezza della crescita”. Serve piuttosto un patto per costruire robuste politiche attive fondate sulla cura delle competenze, sulla formazione, come condizione strutturale di occupazione, di buona occupazione, che è poi il fondamento di una maggiore sicurezza sociale».