
L’agenda del nuovo esecutivo su energia, pulita e non
Un freno al caro bollette, un tetto al prezzo del gas e il disaccoppiamento del prezzo dell’elettricità da quello del metano. Queste alcune delle priorità cui Giorgia Meloni vuole mettere mano, sulla scia del governo Draghi, per gestire l’emergenza energia. La nuova presidente del Consiglio ne ha inoltre menzionati altri, di carattere più nazionale; tra questi la realizzazione di fabbriche italiane di componentistica per le fonti rinnovabili, soprattutto i pannelli solari. Un settore strategico e un nodo spinoso anche in tema geopolitico: in questi settori infatti la potenza economica numero uno è la Cina. In un’ottica protezionistica quindi -più volte ribadita dal governo come fondamento ideologico- la premier ha dichiarato di voler evitare il passaggio «alla dipendenza dalle materie prime cinesi rischiando così di– demolire filiere di eccellenza produttiva nazionale».
Altro cavallo di battaglia del nuovo governo l’aumento delle estrazioni di gas e il potenziamento delle fonti rinnovabili. La produzione italiana di gas, secondo i numeri forniti da Assorisorse, l’associazione di Confindustria delle imprese estrattive, «potrebbe aumentare da 3,3 miliardi di metri cubi nel 2021 a circa 6 miliardi di metri cubi/anno entro il 2025 e oltre 7 negli anni successivi». L’incremento della produzione nazionale è in realtà un altro lascito dell’agenda del precedente governo Draghi: anche su questo Meloni ha detto di essere allineata
L’Italia, secondo i dati dell’ex Ministero della Transizione ecologica, ora Ambiente e Sicurezza energetica, ha riserve di metano per circa 112 miliardi di metri cubi, fra mare e terra: 45,775 miliardi certi, 45,901 probabili, 19,912 possibili. Stando ai dati raccolti da Assorisorse, il nostro Paese nel 2021 ha estratto 3,3 miliardi di metri cubi di metano, a fronte di un consumo nazionale annuo di 74,1 miliardi. Nel 2000, la produzione nazionale era di 17 miliardi di metri cubi all’anno. Vent’anni dopo, nel 2020, era scesa a 4 miliardi. L’anno scorso ha toccato il minimo, con un calo annuo (dati Arera) del 16,7%. Le trivelle italiane sono localizzate principalmente in Lombardia ed Emilia Romagna. Sono poi molto presenti sulla costa adriatica fino alla Puglia, in Basilicata, in Calabria intorno a Crotone, in varie zone della Sicilia. Le riserve maggiori secondo il Pitesai (Piano per la transizione energetica sostenibile nelle aree idonee) sono al Sud: su 66,245 miliardi di metri cubi complessivi, 60,641 sono nel Mezzogiorno, 0,784 al centro e 4,82 al Nord.
Molto male invece il fonti rinnovabili, che sono rimaste ferme per 10 anni. Le hanno bloccate la burocrazia e le cosiddette proteste Nimby (Not In My Back Yard, “Non nel mio cortile”). Diverse proteste hanno riguardato, in alcuni siti specifici, il posizionamento di sistemi come l’eolico in zone di transito migratorio di uccelli ma anche biodiversità ittica, come avvenuto in Sicilia. Draghi e Cingolani le hanno sbloccate, e quest’anno se ne installeranno 3 gigawatt, secondo Elettricità Futura, l’associazione delle imprese elettriche. Un numero che però non basta. Per raggiungere gli obiettivi Ue di decarbonizzazione e anche quelli di indipendenza energetica del nuovo governo, bisogna arrivare a 8 GW all’anno fino al 2030.