
Non esistono lauree inutili, ma di alcune gli imprenditori hanno particolare bisogno; e non mancano le sorprese
Bisogna diffidare dei luoghi comuni: più si studia, meglio si guadagna. È uno dei tanti miti sfatati dall’indagine del report “Education at a Glance 2022” dell’Ocse e pubblicato a inizio ottobre 2022 che fotografa le lauree più redditizie perché più richieste dal mercato del lavoro. Certo qualche conferma dei “falsi antichi pregiudizi” c’è: almeno nel nostro paese, ad esempio, il tasso di occupazione di un laureato in ingegneria è all’88%, contro il 69% di un laureato in ambito artistico. Soprattutto i laureati in Medicina e Scienze Sociali sono particolarmente fortunati, con un tasso d’occupazione all’89%. Ma non sottovalutate le lauree umanistiche, da sognatori sì ma nemmeno troppo: dopo Matematica e Scienze naturali (81%), Legge (81%) ed Economia (85%), vengono infatti filosofi e umanisti con il 76%.
Complice anche un mercato del lavoro che sempre più, oltre al voto di laurea, valuta anche le soft skills: lingue apprese, capacità di fare team e di interagire al meglio con terzi, uso di internet e strumenti digitali (anche i social). Ma il mito principe da sfatare è quello del laureato che studia tanto ma si trova in mano poco. Almeno nelle statistiche infatti, secondo Ocse, tanto più aumentano gli anni di studio tanto maggiore è la possibilità non solo di trovare lavoro, ma di trovarne uno meglio remunerato. La retribuzione mensile netta a un anno dal titolo è, nel 2021, in media, pari a 1.340 euro per i laureati di primo livello (+9,1% rispetto al 2019) e a 1.407 euro per i laureati di secondo livello (+7,7% rispetto al 2019).
Peccato che l’Italia anche in questo caso, tra i paesi più sviluppati, sia tra gli ultimi della classe. Tra il 2000 e il 2021, certifica il report, i livelli di istruzione nel nostro Paese sono cresciuti più lentamente della media di tutti gli altri Paesi Ocse: la quota di giovani fra i 25 e i 34 anni con un titolo di istruzione universitaria è cresciuta di soli 18 punti percentuali rispetto alla media di 21. Colpa della crisi economica, dei costi esorbitanti dell’università (soprattutto quelli collaterali come gli affitti per gli universitari) ma anche di un generale scoramento. Non bisogna però arrendersi: dopo 5 anni di studi, secondo Ocse, paga e percentuale di occupazione aumentano sensibilmente. Meglio quindi rimboccarsi le maniche, ritornare sui libri e non perdersi d’animo.