
Gli investitori crecano di capire bene le mosse dei sauditi
Ubs dice no alle nozze con Credit Suisse. Il vertice della prima banca svizzera non vuole farsi carico dei rischi della rivale e preferirebbe concentrarsi su una strategia di crescita stand-alone focalizzata sul wealth management. Lo riporta Bloomberg. Non è peraltro la prima volta che Ubs si oppone a un’ipotesi di fusione. L’idea circola da almeno un paio di anni, anche se più volte le trattative si sono arenate.
Nonostante la riluttanza, il governo svizzero spinge per l’operazione di sistema e continua a lavorare al progetto di fusione. Berna ritiene che l’operazione avrebbe prima di tutto la funzione di preservare la stabilità e l’integrità del sistema bancario nazionale e di difenderlo da raid opportunistici di gruppi stranieri. Inoltre consentirebbe di tutelare l’occupazione, considerando che in Svizzera Credit Suisse dà lavoro a circa 16 mila dipendenti.
Su Credit Suisse, ammesso e non concesso che l’aiuto della Banca centrale stabilizzi la situazione, ci sono molti punti ancora da chiarire. Per esempio in queste ore molti investitori si stanno interrogando sulla mutevole linea dalla Saudi National Bank, primo azionista di Zurigo al 9,8% dopo l’investimento da circa 1,5 miliardi di dollari fatto con l’ultimo aumento di capitale. All’inizio il presidente Ammar al-Khudairy ha escluso in maniera piuttosto categorica una crescita nel capitale della banca: «Attualmente possediamo il 9,8%. Se superiamo il 10%, entrano in vigore una serie di nuove regole e non siamo propensi ad entrare in un nuovo regime normativo», aveva tagliato corto. Queste dichiarazioni avevano crollare il titolo di Credit Suisse in Borsa e per risollevare le sorti il presidente saudita ha provato a correggere il tiro, dichiarando in un’intervista con Reuters di essere “contento del piano di ristrutturazione del gruppo elvetico, è una banca molto forte. Non penso che abbia bisogno di ulteriore liquidità“.
Quale sia la vera ragione del perché non ci sia stato un intervento non è dato sapere. Di certo l’investimento in Credit Suisse è stato finora assai avaro di soddisfazioni per i sauditi. La quota, pagata 1,5 miliardi di dollari nell’autunno scorso, oggi vale in borsa appena 824 milioni, con una minusvalenza teorica di quasi 700 milioni.
Bilancio molto magro anche per gli altri soci mediorientali, cioè la Qatar Holding che è salita proprio recentemente al 7% e l’asset manager saudita Olayan Group, che ha aderito pro quota alla ricapitalizzazione per il 4,9%. Si è invece salvato in tempo Harris Associates, il fondo americano che a inizio marzo ha completamente azzerato dopo 20 anni la propria posizione, pari al 5% del capitale, dimostrando di fatto di avere un tempismo perfetto, vista l’attuale situazione.
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