La frenata della manifattura in Cina, le imminenti decisioni di Fed e Bce sui tassi e gli allarmi sul debito pubblico americano mandano in fibrillazione le Borse europee
Scivolano in chiusura le principali borse europee. Parigi cede l’1,45% a 7.383 punti, Londra l’1,24% a 7.773 punti, Madrid l’1,72% a 9.082 punti e Francoforte l’1,23% a 15.726 punti.
La frenata della manifattura in Cina, le imminenti decisioni di Fed e Bce sui tassi e gli allarmi sul debito pubblico americano mandano in fibrillazione le Borse europee, che vedono sfumare il timido tentativo di rimbalzo iniziale e chiudono tutte in “rosso” con cali vicini al 2%.
A far precipitare gli indici, già zavorrati da Wall Street, è il tonfo del petrolio oltre il 4% a causa dei dubbi sulla tenuta della domanda mondiale di energia (a partire da quella di Pechino). Mentre il segretario al Tesoro, Janet Yellen, mette in guardia sul possibile default entro il primo giugno, se il Congresso Usa non dovesse alzare subito il tetto del debito, gli investitori mostrano di temere le mosse della Fed, che verranno annunciate domani al termine della riunione del Fomc (il giorno dopo il bis con la Bce).
Le scommesse del mercato sono per un nuovo rialzo di 25 punti da parte della banca centrale americana. E sullo sfondo si moltiplicano i segnali di rallentamento dell’economia europea, con il peggioramento degli indici Pmi manifatturieri e la risalita dell’inflazione annua nell’area euro: +7% ad aprile.
A Piazza Affari, dove l’indice Ftse Mib chiude con un passivo dell’1,65%, sul finale si sono moltiplicate le vendite soprattutto sui petroliferi, da Saipem (-7,3%) a Tenaris (-5,4%) passando per Eni (-4,2%). Perdono quota tutti i titoli principali tranne Campari (+2,7%) dopo la trimestrale e il gruppo St (+1,5%) sulla scorta delle indicazioni positive dei concorrenti. Si salva anche Prysmian (+0,9%). I bancari, protagonisti in positivo per buona parte della seduta, cadono sul finale con UniCredit (-1,8% alla vigilia dei conti), Mps (-2,2%) e Intesa Sp (-2,4%).
Sul valutario, l’euro cale a 1,0985 dollari (da 1,1041 venerdì in chiusura) e 150,03 yen (150,2), mentre il cross dollaro/yen è pari a 136,53 (136,14). Perde ancora quota il gas sui 37,6 euro al MWh (-3%) assieme al tracollo dei future sul greggio: il Wti di giugno scambia a 72,4 dollari al barile (-4,3%) e il Brent di luglio a 75,9 dollari (-4,2 per cento).ù
Le vendita hanno colpito, tra gli altri, anche i titoli di Iveco (-3,5%), Hera (-3,5%) e Mediobanca (-3,4%).
Seduta da dimenticare anche per i bancari, anche se a ridare inizialmente gas alle quotazioni – almeno prima del forte calo sul finale di seduta – era stata l’archiviazione dei timori sugli istituti di medie dimensioni negli Usa dopo il salvataggio di First Republic Bank, acquisita da JpMorgan, ma anche il mancato annuncio di un’eventuale tassa sugli extra-profitti da parte del governo italiano. Ipotesi, al contrario, circolata nei giorni scorsi dopo le parole del titolare del Mef, Giancarlo Giorgetti, che in aula aveva parlato di «significativi miglioramenti» sul fronte della redditività degli istituti ma senza «un altrettanto solerte adeguamento degli interessi riconosciuti alla clientela sulla raccolta. Una dinamica questa che il governo non può trascurare e non trascurerà». Nell’attesa, si aprirà la stagione delle trimestrali anche per le banche del nostro Paese, con UniCredit che domani diffonderà i conti del trimestre.
La recupero di St, invece, è legato in particolare alle indicazioni positive fornite dalle due società del settore, Onsemi e Nxp. Prospettive che hanno permesso al titolo di rialzare la testa dopo lo scivolone accusato la scorsa settimana, quando la società ha diffuso i conti trimestrali che sono risultati superiori alle attese, ma risentendo allo stesso tempo del timore di un rallentamento della domanda di chips, messo in conto dallo stesso management dell’azienda.
Gli occhi del mercato restano vigili anche su Tim (-2,7%) dove, secondo indiscrezioni, il numero uno, Pietro Labriola chiederà al board il via libera per procedere alla richiesta di ulteriori miglioramenti delle offerte, che in base a quanto riportato dalla stampa si attestano a 21 miliardi quella di Kkr (includendo un “earn out” di 2 miliardi) e 19,3 miliardi quella di Cdp-Mcquarie.
Proposte già bocciate dal socio Vivendi che, secondo Il Sole 24 Ore, sarebbe disposto a scendere al massimo a un valore attorno a 26 miliardi rispetto ai 31 miliardi ritenuti congrui. Senza dimenticare gli scenari, pure ipotizzati da alcuni organi di stampa, che vedono il governo Meloni di nuovo al lavoro per cercare una soluzione, che potrebbe passare per un coinvolgimento di una partecipata pubblica come Poste (-2,4%) nell’azionariato di Tim.
(Foto FLIKR)