
L’economista Sapelli, intervistato da LaPresse, traccia un panorama delle successioni, a partire da quella Berlusconi, in questo momento molto al centro dell’attenzione
L’economista Giulio Sapelli, interpellato da LaPresse, parte dal caso Berlusconi e della sua galassia di aziende per interpretare il panorama del “capitalismo familiare” italiano.
“Il vero problema del capitalismo familiare è il problema della terza generazione più che della seconda. Anche nel caso del Gruppo Fininvest la vera sfida da affrontare sarà quella dei nipoti di Silvio Berlusconi, in termini di cambio generazionale”.
Il tema è da giorni al centro dell’attenzione dei mercati e delle riflessioni di analisti ed esperti, che con la morte del Cavaliere fanno scenari sul post Berlusconi, alla luce del fatto che con il testamento dell’ex premier il controllo della Fininvest è passato ai figli Marina e Pier Silvio.
“Da un lato – prosegue Sapelli con LaPresse – c’è il capitalismo fondato sullo scambio di mercato degli shareholder, dove il controllo del capitale si acquisisce con la Borsa, un capitalismo tipico del mondo angloamericano e nei Paesi di common law. E poi c’è il ‘blood capitalism’, il ‘capitalismo di sangue’ basato sulla consaguineità e sulla eredità della famiglia, in cui i diritti di proprietà si acquisiscono con l’ereditarietà o l’appartenenza familiare. Il ‘blood capitalism’ è predominante nel continente europeo e il Gruppo fondato da Silvio Berlusconi si inserisce in questo contesto, nel modello del capitalismo dei Bolloré, degli Arnault, dei Caltagirone”.
Sono tanti gli esempi di grandi aziende familiari del capitalismo italiano, in cui si è presentato il tema della successione, dalla Fiat degli Agnelli, all’impero della Nutella dei Ferrero con alla guida Giovanni figlio di Michele Ferrero, o la Barilla con al timone Guido Barilla, figlio di Pietro.
E in Italia la concentrazione proprietaria delle imprese è lievemente cresciuta, secondo quanto rileva il Rapporto della Consob sulla corporate governance delle società quotate italiane. La quota del primo azionista a fine 2021 è pari in media al 49% del capitale (47,6% nel 2020), mentre la quota del mercato è pari al 39% del capitale (40% nel 2020). In linea con gli anni precedenti, le famiglie continuano a essere i principali azionisti di riferimento, controllando il 63,4% delle imprese quotate, in prevalenza di minori dimensioni (incluse nell’indice Star o non incluse in alcun indice) e operanti nel settore industriale.
Ma il ‘capitalismo di sangue’ italiano si distingue dagli altri modelli europei? Per Sapelli non c’è una specificità italiana, il ‘blood capitalism’ nel belpaese è come quello italiano o spagnolo o portoghese. “E anche – dice l’economista a LaPresse – come quello anglosassone, quando esso si presenta, ma che nell’anglosfera riguarda soprattutto le imprese non quotate in Borsa. Invece, in Italia riguarda anche le imprese quotate, che molto spesso lo sono per una parte che però garantisce la maggioranza dell’impresa alla famiglia nella sua continuità”.
Insomma, un capitalismo quello italiano che anche quando c’è la quotazione borsistica “riesce a mantenere la quota dominante in mano alla famiglia, attraverso una rete di società e relazioni”.
E se c’è una una specificità – è l’analisi di Sapelli – va ritrovata proprio nella galassia Fininvest fondata da Silvio Berlusconi: la sua particolarità deriva dal fatto che il Cavaliere oltre che il ruolo da imprenditore ha avuto per 30 anni un ruolo in politica. “Quello che va rilevato – fa notare l’economista – è che anche con la ‘decadenza’ politica di Silvio Berlusconi la sua famiglia ha mantenuto fortemente le redini e il controllo del Gruppo”.
E del Gruppo Mfe (ex Mediaset)-Fininvest Sapelli sottolinea anche che “ha l’ambizione di una proiezione internazionale e questo è un elemento importante in Italia, dove non ci sono realtà alla Murdoch”.
(foto ANSA)