
Devasini, considerato la mente della società, e Ardoino, chief technology officer, sono tra i quattro proprietari della società con sede nelle Isole vergini
Quando i re delle criptovalute diventano famosi spesso è perché finiscono nei guai, come Sam Bankman-Fried, appena tornato in galera dalla libertà vigilata, per una delle truffe più grandi della storia. Oppure come nel caso dei nordestini Visentin e Giullini, craccati con la NFT ed arrestati a Dubai.
Diverso invece il caso di Giancarlo Devasini (nella foto) e Paolo Ardoino, che Forbes celebra come due tra i multimiliardari italiani: sono due dei 4 proprietari di Tether, azienda di stablecoin con sede nelle Isola Vergini britanniche.
La società ha creato un dollaro digitale con un valore di mercato di 83 miliardi di dollari, in crescita rispetto ai 65 miliardi di un anno fa. Nei primi tre mesi del 2023, Tether, che è responsabile di oltre il 50% della liquidità dell’intero mercato delle criptovalute, ha dichiarato di aver registrato utili per 1,5 miliardi di dollari.
Devasini ne possiede il 40%, per 4 miliardi, Paolo Ardoino, il chief technology officer, ha azioni per 1,8 miliardi. Gli altri due soci sono Jan Ludovicus van der Velde e Stuart Hoegner. Tutti presonaggi alquanto “oscuri”, almeno ad una rapida ricerca sui social e sui motori di ricerca.
La società usa un modello di profitto semplice e a basso rischio: i clienti consegnano alla società dollari statunitensi in cambio di un token collegato alla blockchain che la società stessa conia, noto come Usdt (la ‘T’ sta per Tether). Tether detiene garanzie collaterali, per lo più sotto forma di buoni del Tesoro, fondi del mercato monetario, bitcoin e prestiti garantiti, e guadagna un rendimento di mercato su queste riserve. Si è sempre supposto che gli Usdt possano essere rimborsati per 1 dollaro (apparentemente per rendere stabile la stablecoin) e che siano rimborsabili su richiesta, ma i clienti di Tether non ricevono interessi sui loro depositi.
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A marzo Tether ha beneficiato del crollo della Silicon Valley Bank, quando si scoprì che il suo principale concorrente, Circle, con sede a Boston, deteneva presso la Svb più di 3 miliardi di dollari in depositi non assicurati. La stablecoin di Circle, ancorata al dollaro, è scesa per un breve periodo fino a 88 centesimi. Abbastanza da far confluire verso Tether quasi 10 miliardi di dollari di asset.
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Data la sua solidità e il dominio del mercato, Forbes stima che, se i dati finanziari della società sono quelli dichiarati, in caso di vendita il prezzo potrebbe arrivare fino a 9 miliardi di dollari.
La società, per il momento, sta cavalcando l’onda, ma, se il Congresso statunitense dovesse introdurre una normativa sulle stablecoin, come ha fatto l’Unione europea a maggio, questo potrebbe favorire Circle, che è più in linea con le normative, o nuovi operatori, come le banche.
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Potrebbe arrivare poi anche un altro vento contrario: i possessori di Usdt potrebbero cominciare a chiedere i rendimenti dei mercati monetari, che al momento sono compresi tra il 4 e il 5%.
Forbes è al corrente di almeno una società statunitense che sta cercando di creare una stablecoin regolamentata che, a partire da quest’anno, pagherebbe rendimenti simili a quelli dei mercati monetari.
Quando Tether ha ripreso a stampare denaro, durante il boom indotto dal Covid, i rendimenti erano prossimi allo 0%. Ora il mondo è cambiato. I fondatori di Tether si sono arricchiti gratis grazie ai loro clienti. A un certo punto potrebbe arrivare il conto da pagare.
(foto IMAGOECONOMICA)