
“L’ho detto per tre volte: i lavori non dovevano cominciare”
«L’ho detto per tre volte: i lavori non dovevano cominciare perché era previsto il passaggio di un treno». A parlare così è una dipendente delle Ferrovie che potrebbe diventare la testimone chiave dell’inchiesta sulla tragedia di Brandizzo. E’ lei, secondo quanto risulta dalle telefonate acquisite dagli investigatori, ad avere lanciato quegli avvertimenti rimasti inascoltati. Ha trascorso l’intera giornata in Procura ad Ivrea ieri.
I pubblici ministeri hanno acquisito una gran quantità di documenti e messo sotto sequestro tutto il materiale che sono riusciti a recuperare sul luogo dell’incidente, compresa l’attrezzatura che maneggiavano le cinque vittime.
Nell’inchiesta sono numerose le persone ascoltate fino ad oggi. E’ passato in Procura anche Antonino Laganà, fratello di Kevin, la più giovane delle vittime, nonché suo collega di lavoro all’impresa Sigifer di Borgo Vercelli. La sua audizione è stata rinviata a mercoledì. Da Palazzo di giustizia è uscito mano nella mano con il papà e indossando una t-shirt su cui era stampato il volto del fratello.
Le famiglie dei cinque operai deceduti sono state invitate a fornire elementi che possono portare al riconoscimento dei corpi: tatuaggi, arcate dentarie, qualunque cosa. Solo in seguito potrà essere concesso il nullaosta per i funerali.
Nel procedimento gli indagati per omicidio e disastro ferroviario in forma di dolo eventuale, come sappiamo, sono due. Il primo è Antonio Massa, quarantasei anni, il tecnico di Rfi addetto alla scorta del cantiere di Brandizzo. Per ora ha un legale di ufficio, Alessandro Raucci. Il secondo è Andrea Girardin Gibin, 52 anni, capocantiere della Sigifer. Quella sera si è salvato tuffandosi di lato alla vista del treno. Ha un difensore di fiducia, Massimo Mussato, che lo descrive come “molto provato e addolorato“.
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