Secondo quanto si apprende, la situazione nella Striscia di Gaza è sempre più drammatica ed il miliardario non è rimasto indifferente. Provocando così l’ira di Israele
Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha descritto la situazione in cui versano due milioni di abitanti della Striscia dicendo «Siamo entrati in una nuova fase e la scorsa notte la terra a Gaza ha tremato». Molti sono rimasti senza corrente elettrica, senza rifornimenti di combustibile, di cibo e di acqua potabile. E da ieri anche senza collegamenti telefonici o internet perché le linee sono state danneggiate in maniera critica nei bombardamenti a tappeto di Israele, proseguiti con grande intensità anche oggi.
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Di fronte a questo dramma, Elon Musk ha annunciato che metterà a disposizione il proprio sistema satellitare Starlink di SpaceX a beneficio delle Ong umanitarie che operano a Gaza in risposta ad un appello giunto dalla deputata democratica Alexandra Ocasio-Cortez che aveva denunciato come “inaccettabile” l’oscuramento di ogni tipo di comunicazione a Gaza.
«Faremo ricorso a tutti i mezzi a nostra disposizione – ha detto il ministro israeliano delle comunicazioni Shlomo Karhi (Likud) – per ostacolarlo». Secondo Karhi, Musk dovrebbe condizionare quei collegamenti «al rilascio dei nostri ostaggi: bebè, uomini, donne, anziani, tutti». «Fino ad allora – ha avvertito – il nostro ministero delle comunicazioni romperà ogni legame con Starlink». Lo ha riferito la televisione commerciale Ch. 12.
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Come riferisce Ansa, alcune Ong di diritti umani hanno anche espresso il timore che con questo genere di attacchi Israele voglia in effetti “nascondere al mondo atrocità” che potrebbero verificarsi nel corso delle operazioni dell’esercito. Da Gaza giungono informazioni, ancora non verificate, relative alla distruzione di “centinaia di edifici”.
Intanto organizzazioni umanitarie internazionali – fra cui agenzie dell’Onu – denunciano di aver perso i contatti con il proprio staff a Gaza. La Mezzaluna Rossa palestinese ha avvertito di non essere più in grado di fornire un servizio efficiente di ambulanze alle vittime dei bombardamenti. Fonti sul posto hanno confermato che dopo i raid gli abitanti delle zone colpite devono adesso indirizzare a voce le ambulanze verso i luoghi dove giacciono i feriti. Cosa che complica e ritarda molto i soccorsi.
Sugli sviluppi delle operazioni intraprese dall’esercito israeliano (mentre proseguono bombardamenti incessanti dell’aviazione, della marina e della artiglieria) non ci sono informazioni concrete. Israele ha riferito di aver intrapreso un’incursione nel nord della Striscia, a Beit Hanun, ma non ne ha precisato la profondità. “Il nemico ha avuto centinaia di morti“, ha affermato il capo dell’esercito, generale Herzi Halevi, mentre “noi non abbiamo subito perdite”.
Da ieri i giornalisti di Gaza sono ridotti al silenzio a causa del blackout delle linee telefoniche, e dunque non è possibile verificare l’attendibilità di resoconti parziali che affiorano sporadicamente sul web. Alcuni reporter sono riusciti, per qualche istante, a trovare un collegamento salendo sui tetti di palazzi: cosa peraltro molto rischiosa. Fra chi continua ad aggiornare in tempo reale c’è l’agenzia Shehab, vicina ad Hamas. Ha descritto duri bombardamenti a est di Gaza City, e nei rioni Zaitun e di el-Bureij. Nel campo profughi Shati, sulla costa di Gaza, ci sarebbero state decine di vittime. Altri morti si sono avuti nell’ospedale Indonesi, a nord di Gaza. «I nostri miliziani sono riusciti ad ostacolare l’avanzata del nemico in zone diverse, hanno teso imboscate», ha fatto sapere Shehab.
Su tutto sovrasta la grande crisi umanitaria, con centinaia di migliaia di sfollati a cui Israele ha ordinato perentoriamente (anche oggi) di spostarsi a sud del Wadi Gaza, nel centro della Striscia. Ma anche in quell’area, che dovrebbe essere più sicura, proseguono intensi bombardamenti.
Oggi sono stati segnalati a Khan Yunes e a Deir el-Ballah. In questo quadro drammatico sono giunte informazioni relative all’ingresso di camion con aiuti umanitari (acqua, cibo e medicine) al valico di Rafah, provenienti dall’Egitto. “Una goccia nel mare”, avevano detto già nei giorni scorsi gli sfollati nel sud di Gaza. “Da noi non è stato distribuito ancora niente”.