Le agenzie di rating stanno tornando sotto i riflettori delle cronache finanziarie, un ritorno particolarmente importante per alcune nazioni, come l’Italia, che devono fare i conti, letteralmente, con un debito pubblico altissimo e tassi di interesse che non accennano a diminuire. Un quadro complesso sul quale Alessandro Bergonzi, Financial markets content specialist di Investing.com, ci aiuta a fare chiarezza.
Agenzie di rating: cosa sono?
«Le agenzie di rating valutano quanto sia rischioso un investimento. Dopo aver studiato le caratteristiche di un’azienda o uno Stato, comunicano il loro giudizio sulla capacità di quell’ente di adempiere ai propri obblighi finanziari nei tempi stabiliti, cioè ne stabiliscono il livello di affidabilità. Offrono uno strumento agli investitori che, leggendo i rating, possono capire quanto sia sicuro investire su quel determinato titolo. Allo stesso tempo, rappresentano un esame per chi, come l’Italia, ha bisogno di vendere i propri titoli sul mercato per finanziare spese e investimenti».
Perché e in che modo le agenzie di rating hanno il potere di influenzare il mercato?
«Prestereste mai del denaro a qualcuno se c’è il rischio che i vostri soldi non vi vengano restituiti? Le agenzie di rating servono proprio ad avvisare sull’affidabilità del debitore. Semplificando al massimo, se consideriamo che acquistare un’obbligazione equivale a prestare denaro a qualcuno, i vari Moody’s, S&P e Fitch ci dicono quante probabilità ci sono di rivedere il nostro denaro. Dopo i calcoli complessi che gli permettono di stabilire quanto sia affidabile il debitore, le agenzie emettono una sentenza molto chiara che ricorda i voti assegnati nelle scuole americane. Si va dalla AAA, che sta a indicare un risultato eccellente per quell’ente, il massimo livello di stabilità, alla C o inferiore che indica un soggetto del tutto inaffidabile e sull’orlo del fallimento. Di conseguenza, prima di mettere i soldi su un determinato prodotto, gli investitori studiano le valutazioni delle agenzie di rating per capire il livello di rischio a cui vanno incontro».
Tra tutti i giudizi quello più temuto è quello di Moody’s che tra l’altro è anche l’ultimo. Perché? Cosa ci dobbiamo aspettare?
«Neanche a farlo apposta, il giudizio di Moody’s arriverà venerdì 17 novembre, una data alquanto inquietante per i superstiziosi. Il rischio è quello di superare il limite tra “investment grade” e “junk”, tradotto letteralmente di passare da essere considerati investimento relativamente sicuro a “spazzatura”, un cosiddetto “downgrade” che si avvera quando si scende dal gradino BBB. Se le altre agenzie di rating accreditate a valutare il debito sovrano, ovvero S&P, Fitch e Dbrs, assegnano all’Italia una valutazione BBB, ma con prospettive comunque stabili, Moody’s vede già un futuro negativo per il debito del nostro Paese. In parole povere, se con le altre ci è ancora concesso sbagliare, con Moody’s no. Un taglio del rating ci farebbe perdere il titolo di investimento sicuro con conseguenze rilevanti. Le obbligazioni più rischiose offrono rendimenti più elevati, di conseguenza, l’Italia spenderebbe più soldi in interessi per finanziarsi (già al momento i Btp rendono più dei titoli emessi dalla Grecia). Inoltre, investitori istituzionali, come le grandi banche d’affari, non comprano debito al di sotto della soglia BBB. Questo vorrebbe dire che ci sarebbero meno soggetti disposti a prestare soldi al nostro Paese».
Italia, Stati Uniti e Grecia: 3 casi eclatanti in cui le agenzie di rating hanno deciso il destino di intere nazioni. Possibile fare delle valutazioni al riguardo?
«Non credo che abbiano tutto questo potere. Le agenzie di rating arrivano dopo, certificando una situazione problematica e su questo hanno una grande responsabilità perché sono in grado di influenzare i mercati. Certo, come detto prima, nel caso dell’Italia un giudizio negativo sarebbe un bel problema. Lo confermano anche le parole del ministro Giorgetti che recentemente ha affermato di temere più le valutazioni dei mercati che gli comprano il debito che quelle dell’Unione europea. Sicuramente un taglio del rating farebbe salire lo spread, mettendo ancora più sotto stress i conti italiani. Tuttavia, a prescindere dalla valutazione di Moody’s, è un dato di fatto che il rapporto debito pil sia un problema per il nostro Paese. Nel caso della Grecia è stato il governo a truccare i conti, non i report delle agenzie a farla crollare. Al contrario, ultimamente ne stanno attestando la risalita, con Dbrs che a settembre l’ha riportata al livello investment grade. Anche gli Stati Uniti sono passati sotto la tagliola delle agenzie di rating con Fitch che ne ha declassato il debito da AAA a AA+. Ovviamente è seguita una levata di scudi, con il segretario del Tesoro, Janet Yellen, e il presidente, Joe Biden, pronti a difendere la forza dell’economia americana. In realtà, il debito Usa non è privo di rischi fin dal 2011, quando S&P decise di rivedere al ribasso la sua affidabilità».
Interessante, fa notare infine Bergonzi, la copertina che all’epoca pubblicò la rivista Time, copertina particolarmente catastrofica: George Washington con un occhio nero e il titolo “The Great American Degradation”. Il risultato è stato, conclude l’esperto, che, dopo uno scossone iniziale, a 12 mesi dal downgrade l’indice S&P 500 statunitense aveva guadagnato circa il 20%.
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