L’oro nero ha condizionato, nel passato, la vita politica ed economica del pianeta
Il petrolio è tornato recentemente sotto i riflettori. Le crisi geopolitiche e gli impatti dell’inflazione, sono state le cause scatenanti. Ma l’oro nero, nell’era delle rinnovabili, ha ancora il potere di una volta? Lo abbiamo chiesto ad Alessandro Bergonzi Financial markets content specialist di Investing.com
Perché il petrolio influenza in maniera così ampia i mercati?
«Nonostante negli ultimi anni ci sia una grande spinta (soprattutto in Europa) verso le rinnovabili, il petrolio rappresenta la prima fonte di energia per i trasporti ed è una materia prima fondamentale per molti settori industriali essendo, tra le altre cose, alla base della produzione delle plastiche».
Quali sono gli effetti che ha il petrolio sull’economia reale?
«Non essendo presente in tutto il mondo, ma solo in alcune aree geografiche, il petrolio rappresenta una risorsa per questi Paesi che, aumentandone e diminuendone la produzione, possono influenzare l’andamento dei prezzi. È il meccanismo che ha provocato due celebri shock petroliferi del secolo scorso, nel 1973 con la guerra del Kippur e nel ‘79 dopo la rivoluzione iraniana. Essendo un bene energetico e venendo usato in molti campi, forti rialzi del prezzo del petrolio possono dare un’accelerata all’inflazione, agendo come una tassa per i consumatori. L’effetto più evidente di cui ci accorgiamo subito tutti è l’aumento del prezzo dei carburanti. La macro-conseguenza è una contrazione dei consumi. Al contrario, il calo del prezzo può essere di stimolo all’economia».
Le previsioni dell’Agenzia Internazionale dell’Energia vedono metà dell’energia globale alimentata da rinnovabili entro il 2030. Partendo da questo presupposto il petrolio è ancora l’ago della bilancia nelle crisi geopolitiche internazionali?
«L’impatto del prezzo del petrolio sull’economia globale era sicuramente più importante nel passato. Oggi l’economia mondiale si è evoluta: da un lato è più energeticamente efficiente e dall’altro meno dipendente dal petrolio visto lo sviluppo delle fonti alternative. Il petrolio mantiene certo la sua importanza e chi ha in mano i rubinetti lo utilizza ancora per trarne vantaggio, ma negli anni gli altri Paesi hanno studiato una serie di contromisure che permettono di affrontare le crisi in maniera più prudente e senza dover correre immediatamente ai ripari».
Quali sono le prospettive future per le quotazioni del petrolio anche alla luce delle varie crisi internazionali (Medio Oriente e Russia-Ucraina su tutte)?
«L’offerta di petrolio sta vivendo una crisi da diversi mesi. Non solo per quanto riguarda le guerre ma soprattutto per i tagli alla produzione imposti da Arabia Saudita e Russia: circa 1,3 milioni di barili al giorno, che non sono numeri di poco conto. Proprio per questo, ciò che ci deve sorprendere è quanto il prezzo del petrolio non sia cresciuto nonostante le guerre e lo stop alle esportazioni. Questo dimostra che, anche se viene tagliata, l’offerta rimane in eccesso rispetto alla domanda e fa ben sperare per il futuro».
La prossima riunione dell’Opec, l’organizzazione dei paesi produttori di petrolio, è in calendario per il 30 novembre, quali sono le previsioni al riguardo considerando anche le voci di tagli alla produzione da parte di Arabia e Russia e di aumento, invece, da parte degli Emirati Arabi?
«Proprio perché fino ad ora la politica dei tagli non sta funzionando, l’Arabia Saudita vorrebbe che anche gli altri membri dell’Opec iniziassero a chiudere i rubinetti. Non tutti i 23 membri dell’organizzazione sono però della stessa idea. Se l’accordo non si dovesse trovare, c’è la possibilità che Riyad e Mosca si decidano a fermare i tagli, rimettendo in circolo i barili fino ad ora bloccati. Un evento che provocherebbe con ogni probabilità un importante calo del prezzo del greggio. Anche gli analisti più pessimisti sulla questione, come recentemente si sono rivelati quelli di Goldman Sachs, non credono che il prezzo del petrolio possa salire oltre i 100 dollari al barile nel 2024».
Al contrario, conclude l’esperto, in molti scommettono che non si allontanerà tanto dai circa 80 dollari al barile attuali.