La perdita del potere d’acquisto, soprattutto in periodo natalizio, è particolarmente sentita
Si parla sempre più spesso di indice dei prezzi al consumo ed erosione del potere d’acquisto, inflazione e banche centrali. Ma cos’è nel concreto, l’inflazione? E per quale motivo ha impatti così forti sulla spesa? Lo abbiamo chiesto ad Alessandro Bergonzi Financial markets content specialist di Investing.com
Gli ultimi dati sull’inflazione italiana registrano un indice dei prezzi al consumo in calo. Ma che cos’è, di fatto, l’inflazione?
«L’inflazione misura quanto i prezzi dei beni consumati e dei servizi richiesti variano in un periodo di tempo. Il conto è tenuto dall’Istat, l’ufficio nazionale di statistica, che con un apposito indice monitora l’andamento dei prezzi. Per farlo, gli esperti hanno costruito il cosiddetto “paniere” che contiene le voci di spesa più comuni per le famiglie italiane. L’aspetto principale dell’indice dei prezzi al consumo è rappresentato dall’abitazione e dalle spese ad essa connesse, c’è poi il prezzo dei beni alimentari, che uniti a quelli per la cura della casa e della persona formano il famoso “carrello della spesa”. Ma tiene conto anche di come cambiano i prezzi dei trasporti, delle spese mediche, dell’abbigliamento e così via. Questa misura dell’inflazione si evolve nel tempo, se nel 1980 nel paniere dell’Istat c’erano il walkman e la macchina da scrivere oggi vi troviamo gli smartphone e i pc».
Quali sono, per gli italiani, le conseguenze di un’inflazione alta? E quali quelle di un’inflazione bassa?
«Un’inflazione moderata è sintomo di un Paese che produce e di persone che spendono. In sintesi, di un’economia in salute. Tuttavia, troppa inflazione, come quella che abbiamo osservato l’anno scorso, su livelli superiori al 10%, diventa un problema per il potere d’acquisto dei consumatori: si comporta come una tassa che aggrava il costo della vita e consuma i risparmi delle famiglie. C’è poi il caso opposto che è quello della deflazione, che si verifica quando i prezzi diminuiscono. Questo fenomeno può essere causato dall’eccesso di offerta o dal calo della domanda ed è sintomo di crisi dell’economia. Mancano soldi e fiducia, le persone non spendono e le imprese non investono. Ma ci può essere anche una deflazione “positiva” quando un’innovazione permette di produrre un bene con più facilità. Ne è un esempio il fordismo: la serie di pratiche industriali introdotte dall’azienda americana Ford tra fine Ottocento e inizio Novecento che ha reso possibile la produzione di massa delle automobili, abbassandone i costi».
Per quale motivo l’inflazione è uno dei dati più monitorati dalle banche centrali?
«Tra i compiti fondamentali delle banche centrali c’è quello di tenere sotto controllo i prezzi, garantendone la stabilità. Di solito il livello ottimale dell’inflazione fissato dai banchieri si aggira intorno al 2%. Per garantire che i prezzi mantengano questa crescita, le banche centrali aumentano o diminuiscono i tassi d’interesse. Per molti anni nell’Eurozona i prezzi non sono aumentati, anzi si è verificato il problema opposto, in quel caso la Bce è intervenuta abbassando i tassi d’interesse fino allo 0%, rendendo più conveniente prendere denaro in prestito. Dall’anno scorso però, con la ripresa post Covid e la crisi energetica, l’inflazione è salita ben oltre il 2% e la banca centrale ha aumentato i tassi d’interesse fino al 4,50% per rallentare la crescita dei prezzi al livello ottimale. Il pericolo è che da un’iperinflazione derivi una recessione economica. Nella storia moderna si può imparare una lezione sulle conseguenze causate dall’inflazione nella Germania post Prima Guerra mondiale. Per pagare le spese della guerra persa, i tedeschi stamparono marchi a volontà, ma questo portò alla svalutazione della moneta e a un’inflazione annua superiore al 600%. I soldi tedeschi valevano così poco che le persone li usavano per accendere le stufe e i primi a rimetterci furono i dipendenti con reddito fisso perché gli stipendi non potevano più stare dietro all’aumento dei prezzi».
Il governo Meloni ha varato il cosiddetto trimestre antinflazione proprio per venire incontro ai problemi di molte famiglie. È già possibile fare un primo bilancio?
«Senza dubbio l’iniziativa ha raccolto il consenso e l’adesione praticamente unanime delle imprese della distribuzione che hanno tenuto fermi i prezzi di una serie di prodotti in un momento difficile per le famiglie italiane. Inoltre, dati alla mano, nel primo mese del trimestre antinflazione la corsa dei prezzi ha subito una brusca frenata, fermandosi al +1,7% su base annua, dal +5,3% di settembre. Si tratta del livello minimo da luglio 2021. Tuttavia, in base ai dati Istat, il rallentamento è dovuto per lo più al forte calo dei prezzi dell’energia e, solo in misura minore, a quello degli alimentari».
Ma, come ricorda alla fine l’esperto, si tratta di un fenomeno che del resto si sta verificando anche nella maggior parte degli altri Paesi dell’Unione europea.
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