
Nel primo pomeriggio si è svolto il terzo giorno di riunione del cda per decidere sulla cessione del ramo “rete” a Kkr
Tim, ore di fuoco per la decisione sulla Netco. Dopo il consiglio di amministrazione di venerdì durato quasi 8 ore, il board ieri ha continuato a valutare, in una riunione iniziata nel pomeriggio, l’offerta vincolante di Kkr per la rete fissa, con il confronto del management e degli advisor finanziari e legali.
Nella serata di oggi, domenica, il cda di Tim ha votato e approvato la vendita di Netco accettando l’offerta di Kkr. Il fondo americano ha messo sul piatto 20 miliardi che potrebbero diventare 22 con la fusione con Open Fiber.
La votazione si è conclusa con 11 voti favorevoli su 14, un risultato, questo, che supera le più rosee aspettative.
Non poteva mancare il colpo di scena: Vivendi, socio principale, ritiene che la decisione del cda violi lo statuto sociale e il regolamento per le operazioni con le parti correlate, per cui la delibera odierna del board è ritenuta “illegittima” e che «comporti la responsabilità degli amministratori di Tim che hanno votato a favore dell’operazione. Conseguentemente, rimasti inascoltati tutti gli appelli alla ragionevolezza, Vivendi – si legge in una nota della società francese – utilizzerà ogni strumento legale a sua disposizione per contestare questa decisione e tutelare i suoi diritti e quelli di tutti gli azionisti».
Non solo, anche il fondo Merlyn sostiene che «la decisione del Cda di Tim di approvare l’offerta di Kkr senza sottoporre la decisione ad un voto dell’assemblea dei soci è irrispettosa e sbagliata». «Adottare una delibera di tale importanza per il destino dell’azienda, peraltro non all’unanimità come annunciato in precedenza, senza ascoltare tutti gli azionisti, costituisce una mancanza di rispetto del mercato e dei più basilari principi di buona governance aziendale. Tanto più a fronte degli impegni presi da Tim e dal suo Cda con l’adozione del Codice pubblico di engagement della società», aggiunge il comunicato.
«Passaggio emblematico – prosegue la nota – il fatto emerso che gli advisor legali abbiano definito come ‘pericolosa’ una eventuale convocazione di una assemblea dei soci. Ci chiediamo pericoloso per chi? Diventa evidente come gli interessi degli azionisti non siano il primo obiettivo del CdA in questa vicenda. Gli attori coinvolti hanno preferito una decisione frettolosa e opaca, non avendo dato ai soci nessun dettaglio di tale operazione».
«Nel comunicato stampa odierno informano che il prezzo “certo” che Kkr è effettivamente pronta a pagare non sono più i 20 miliardi di euro come sempre riportato dalla stampa, ma bensì solamente 18,8 miliardi. Il perimetro dell’operazione è vago e stupisce che nulla sia menzionato sugli accordi, tra cui i Service Level Agreements e il Master Service Agreement ad essa sottostanti. Anzi si conferma nel comunicato che gli accordi non sono ancora definiti e che lo saranno solo al closing, con conseguente riallineamento del prezzo che non potrà che essere al ribasso», prosegue Merlyn per il quale “il raggiungimento dei target del Pnrr non è menzionato come uno dei parametri utilizzati per decidere di procedere con questa operazione. Nemmeno una parola sui progetti relativi al personale e al fatto che l’occupazione sia una priorità, se non un generico e preoccupante accenno al fatto che la vendita permetterà di “liberare risorse”. Tutto ciò non può che essere il preludio ad un futuro di tensione e incertezza, che tradisce nuovamente la storia di questa grande azienda e che priva il nostro Paese di un asset strategico per la sua sicurezza e la sua digitalizzazione».
Merlyn, insieme ai suoi partners in questo progetto, ribadisce, infine, «la volontà di riservarsi a procedere con ogni possibile azione che porti il CdA a convocare al più presto un’assemblea dei soci dove poter decidere se il piano oggi approvato in autonomia dal CdA sia quello che i soci desiderano per la loro azienda o se preferiscano un futuro differente e, a nostro avviso, migliore».
Di tono opposto, ovviamente, il tono delle dichiarazioni dell’ad di Tim Antonio Labriola: «Due anni di lavoro a testa china si chiudono con una decisione storica: dare il via alla nascita di due società con nuove prospettive di sviluppo. Entrambe saranno il punto di riferimento per la trasformazione digitale del nostro Paese perché, grazie a questa operazione, potranno accelerare lo sviluppo tecnologico nel settore delle Telecomunicazioni».
E sottolinea che «non è la conclusione del nostro percorso ma un nuovo inizio. Con questa operazione, infatti, diamo linfa all’infrastruttura di rete e allo stesso tempo consentiamo alla nuova TIM di focalizzarsi sull’innovazione tecnologica che serve per governare il complesso mercato dei servizi digitali e giocare un ruolo da leader».
«Il primo ringraziamento per questo risultato – sottolinea Labriola – va a tutte le persone della nostra Azienda, da sempre il punto di forza in ogni momento che abbiamo attraversato insieme. Senza di loro non sarebbe stato possibile raggiungere questo importante traguardo. Voglio sottolineare inoltre l’importante ruolo delle Istituzioni e delle Autorità competenti che sono la miglior garanzia per l’esecuzione di questo piano. Infine, a tutti i nostri azionisti – conclude l’ad di Tim – dico che stiamo restituendo a TIM la possibilità di guardare ad un futuro sostenibile e di essere pronta a cogliere le opportunità che avrà davanti. Il nostro obiettivo è proseguire su questa strada tracciata dal piano approvato con l’appoggio dei nostri principali azionisti, restando sempre aperti al dialogo e alle proposte che ci vengono sottoposte, in particolare, dai soci più importanti. Siamo convinti che la forza del nostro Gruppo, insieme a ciò in cui crediamo, porterà a far crescere l’Azienda e a generare valore per tutti. Ora torniamo a lavorare a testa bassa per mettere a terra questa grande e storica decisione del CDA di oggi».
Facendo un riassunto con LaPresse, al centro dell’esame c’era la valutazione sul prezzo per l’intero asset e il nodo legale- procedurale per l’eventuale approvazione della vendita a Kkr, cioè se sia sufficiente l’ok del board o se sia necessario un passaggio in assemblea.
Nei giorni scorsi da Cnq, l’Associazione dei quadri e delle alte professionalità del gruppo Tim, a NoiD che rappresenta la voce delle donne dell’azienda, passando per Asati, l’associazione dei piccoli azionisti Tim, a Federmanager, l’associazione dei manager italiani, è ampio il coro di chi chiede una decisione definitiva sul dossier Netco affinché si possa garantire un futuro sostenibile all’azienda e si possa accelerare sul progetto di una rete a governance italiana.
Ma a Vivendi, socio principale con una quota del 24%, l’operazione di scorporo della rete voluta dai vertici di Tim, guidata dal ceo Pietro Labriola, non piace. Il tema è di prezzi: i 22 miliardi sul piatto esclusa Sparkle sono ritenuti insufficienti. Ma pesano anche i dubbi sulla sostenibilità della società dei servizi, Servco, dopo lo scorporo .
Nelle scorse settimane è poi spuntato un progetto per Tim targato Merlyn, un fondo del Lussemburgo. Merlyn e RN Capital, che si sono accreditati ufficialmente con una quota dello 0,006% del capitale, ma dichiarano di avere una partecipazione vicina al 3%, mirano nel loro piano a non cedere la rete e a recuperare risorse per abbattere il debito con un’altra strategia. Propongono come alternativa alla vendita a Kkr un’operazione per cedere il 67% di Tim Brasil per 7 miliardi di euro e Tim Consumer per 9 miliardi, per un totale quindi di 16 miliardi. Un progetto che non ha trovato sostegno da parte del governo, che partecipa con un ruolo attivo all’operazione sulla Netco, nè il consenso degli analisti.
(foto ANSA)