L’obiettivo principale è impedire che le grandi aziende internazionali spostino con facilità ingenti capitali verso i paradisi fiscali, eludendo così le tasse
Dal 2024, in Italia entrerà in vigore la global minimum tax, una tassa rivolta alle multinazionali, stabilita attraverso una direttiva europea del 14 dicembre 2022, basata su principi condivisi con i Paesi dell’OCSE e del G20. L’obiettivo principale è quello di cambiare direzione rispetto al passato recente, durante il quale le grandi aziende internazionali (soprattutto le big tech) hanno spostato con facilità ingenti capitali verso i paradisi fiscali, eludendo così l’imposizione fiscale.
Basta dare uno sguardo all’ultimo rapporto sull’evasione fiscale globale dell’Eu Tax Observatory per avere un’idea dell’entità di questo fenomeno: nel solo 2022, il 35% dei profitti esteri delle multinazionali è finito in questi paradisi fiscali, per un totale di 996 miliardi di dollari. Si tratta di cifre stupefacenti che rappresentano profitti enormi per le grandi imprese ma che impoveriscono la collettività dei Paesi che tassano in misura maggiore i profitti. In Europa, soprattutto, questa perdita si avvicina al 20% del gettito, rispetto al 10% della media mondiale. L’accordo dell’OCSE, approvato da circa 140 Paesi nel mondo, stima che la global minimum tax porterà ad entrate aggiuntive fino a 200 miliardi di dollari all’anno.
In Italia, le previsioni indicano un introito annuo di 2-3 miliardi di euro, secondo il decreto collegato alla legge delega fiscale, che determina l’applicazione della tassa alle imprese “localizzate in Italia e facenti parte di un gruppo multinazionale o nazionale con ricavi superiori a 750 milioni di euro”. L’aliquota minima è stabilita al 15%. Questa misura dovrebbe, se non eliminare, almeno ridurre significativamente il fenomeno noto come “dumping fiscale”, ovvero la pratica di abbassare le aliquote fiscali di un Paese per attrarre imprese e investitori stranieri, generando una forma di concorrenza sleale con le nazioni confinanti.
In Europa, la Germania è uno dei Paesi più colpiti con una perdita del 26% delle entrate fiscali. In Italia, questa stima si attesta al 12,9%. Al contrario, Paesi come Olanda e Irlanda, che offrono regimi fiscali particolarmente vantaggiosi, rappresentano le principali destinazioni per i profitti delle multinazionali, totalizzando rispettivamente 180 e 140 miliardi di dollari.
Nel dettaglio, il rapporto indica che dall’anno 2015 l’Irlanda ha visto una notevole crescita delle entrate provenienti dalle aziende estere, raggiungendo nel 2022 una media di circa 4.500 euro pro capite, cinque volte superiore a quanto registrato in Francia e Germania.
Fino ad ora, l’assenza di un accordo globale sulla minimum tax non solo ha spinto gli Stati a competere nell’abbassare le aliquote fiscali, danneggiando quelli meno attraenti, ma ha anche accentuato i crescenti divari socio-economici. In pratica, ciò ha permesso ai più abbienti di accrescere ulteriormente le proprie ricchezze a scapito della comunità nel suo insieme. L’obiettivo attuale è di promuovere una redistribuzione graduale e ripristinare condizioni più equilibrate a vantaggio delle imprese che non hanno avuto l’opportunità di trasferire i capitali altrove.
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