«La valutazione del lavoro dei dipendenti pubblici è poco efficace con l’appiattimento verso l’alto delle valutazioni del personale e la conseguente attribuzione di premialità senza adeguati presupposti meritocratici».
La Corte dei Conti lo ha riscontrato analizzando le premialità riconosciute ai dipendenti delle PA centrali nel triennio 2020-2022 trovando l’indicazione di obiettivi particolarmente bassi e ha parla di «insufficiente efficacia del sistema di misurazione e valutazione, inidoneo a determinare in maniera uniforme e pienamente adeguata la qualità delle prestazioni dei dipendenti pubblici».
La magistratura contabile così bacchetta la Pubblica Amministrazione ritenendola non meritocratica nelle valutazioni dei suoi dipendenti.
«Il controllo eseguito sulle premialità riconosciute ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni centrali nel triennio 2020-2022 – scrive la Corte – evidenzia la diffusa indicazione di obiettivi particolarmente bassi e autoreferenziali, oltre alla scelta di indicatori di performance poco sfidanti».
L’analisi, approvata con Delibera n. 62/2024/G, che la Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, è stata sull’effettività del Sistema di misurazione e valutazione della performance dei dipendenti pubblici, previsto dal decreto legislativo n.150/2009.
«I risultati emersi – prosegue la magistratura contabile – evidenziano l’appiattimento verso l’alto delle valutazioni del personale, la conseguente attribuzione di premialità senza adeguati presupposti meritocratici e l’insufficiente efficacia del sistema di misurazione e valutazione, inidoneo a determinare in maniera uniforme e pienamente adeguata la qualità delle prestazioni dei dipendenti pubblici.
Se la logica istitutiva degli Organismi Indipendenti di Valutazione è legata all’unificazione dei compiti prima svolti dai servizi o dagli uffici di controllo interno delle PA e all’uniformazione delle modalità di verifica delle prestazioni, l’assenza nell’attuale sistema di parametri realmente omogenei – conclude la Corte – è un rischio di allontanamento dagli scopi ispiratori della norma».