Le imprese nazionali, e in particolare quelle del Sud, si trovano quotidianamente ad affrontare problemi innegabili di vario tipo: tanti, complessi, storici molte volte, situazioni per cui le associazioni di categoria e la stessa Confindustria hanno chiamato sempre più spesso all’unità di intenti e al fare meglio tutti insieme e sempre di più. Ma possiamo anche parlare, senza pericolo di essere smentiti, di eccellenze, di grandi potenzialità e di un tessuto in fermento che ambisce a svilupparsi e farsi valere. Di tutto questo e molto altro di ciò che riguarda le piccole e medie imprese di Napoli e del Meridione abbiamo parlato con il presidente del Gruppo Piccola Industria dell’Unione industriali Napoli, Guido Bourelly.
Imprese del Mezzogiorno come e quanto stanno puntando sulla sostenibilità?
«E’ ormai evidente che le imprese devono produrre in maniera sempre più sostenibile, ce lo richiede il contesto globale in cui operiamo. Ma non va dimenticato che in Europa, e ancor più in Italia, è stato fatto un cammino importante in questa direzione. In molti settori siamo ai primi posti al mondo sia per innovazione che per standard di sostenibilità. Il tema è stato al centro del recente Forum della Piccola industria nazionale che si è tenuto nel museo ferroviario di Pietrarsa, a Napoli. Ne è emerso che anche le aziende del Sud stanno mostrando un impegno crescente, spinti da diversi fattori: la domanda sempre più pressante di prodotti ecocompatibili da parte dei consumatori, le normative più severe in materia di tutela ambientale e l’accesso a incentivi e finanziamenti dedicati. La maggioranza delle imprese ha già adottato misure per la sostenibilità, soprattutto in termini di efficienza energetica, riduzione dei rifiuti e utilizzo di fonti rinnovabili».
E’ ormai noto che gli imprenditori italiani sono campioni di economia circolare. In che modo?
«Le nostre imprese stanno recuperando terreno nell’economia circolare. C’è da dire che nelle regioni del Centro e del Sud si presentano non solo livelli di pressione ambientale più contenuti, influenzati da fattori socioeconomici come minor reddito pro-capite e minor produzione industriale, ma anche da fattori climatici, come una minore richiesta di riscaldamento. Il tema della sostenibilità, però, va coniugato con la tenuta economico finanziaria e occupazionale delle aziende, evitando i pregiudizi ideologici e le accelerazioni immotivate imposte dall’Ue rispetto ai traguardi fissati. Il metodo della neutralità tecnologica è indispensabile per evitare che si pongano limiti all’innovazione e al progresso scientifico, danneggiando così produttività e competitività delle aziende, in particolare delle Pmi. In quest’ottica, l’approvazione da parte del Parlamento europeo del nuovo regolamento sugli imballaggi, che salvaguarda il modello del riciclo e quindi l’approccio strategico dell’economia circolare, è stata una grande vittoria ottenuta dall’impresa italiana, grazie all’impegno di Antonio D’Amato».
Industria 4.0, quali i temi al centro degli interessi delle imprese del sud?
«Rappresenta una grande opportunità per le imprese del Sud Italia e non solo per competere a livello globale. I temi di maggiore interesse sono diversi: dall’adozione di tecnologie digitali per migliorare efficienza e produttività all’utilizzo di macchine automatizzate per ottimizzare la produzione, dalla connessione di macchinari e impianti alla rete internet per raccogliere e lavorare dati all’intelligenza artificiale. Tuttavia, l’accesso a tecnologie e competenze 4.0 rappresenta spesso ancora un ostacolo. Occorre quindi spingere l’acceleratore su infrastrutture digitali, formazione del personale e sostegno alla ricerca e innovazione».
Misure di politica industriale, in Italia come in Europa cosa salvare e cosa c’è da implementare e migliorare?
«Le misure di politica industriale svolgono un ruolo fondamentale nel sostenere le imprese, come abbiamo visto durante la pandemia. Tra i punti di forza da salvaguardare, sicuramente la tradizione manifatturiera e l’eccellenza del Made in Italy. Tuttavia, ci sono ancora ampi margini di miglioramento. In Italia, è necessario semplificare la burocrazia, ridurre la pressione fiscale e favorire l’accesso al credito. Serve una politica industriale che punti sul Meridione, come area di crescita per investimenti e nuova occupazione. È necessario che il governo trovi un accordo con Bruxelles affinché non vengano colpite quelle misure che servono proprio a raggiungere l’obiettivo della coesione territoriale».

Guido Bourelly – Presidente della Piccola Industria dell’Unione Industriali Napoli (foto ufficio stampa)
Criticità: deficit infrastrutturali e presenza della criminalità organizzata sui territori, come e quanto incidono per le imprese del Meridione? Quali le soluzioni proposte?
«La mancanza di infrastrutture adeguate, come strade, ferrovie e porti efficienti, aumenta i costi di produzione e logistica e rende le imprese meno competitive. La criminalità organizzata, invece, rappresenta un ostacolo all’investimento e allo sviluppo, creando un clima di paura e intimidazione. Per affrontare queste criticità, è necessario un impegno concreto da parte di tutte le istituzioni, nazionali e locali. Servono investimenti in infrastrutture moderne e efficienti, e una lotta senza quartiere alla criminalità organizzata. E’ fondamentale creare un ambiente sicuro e favorevole al tessuto imprenditoriale, per far sì che le aziende del Sud possano finalmente esprimere il loro pieno potenziale».
A proposito di criticità ma anche di sviluppo delle imprese, in cosa si differenziano quelle del Sud dalle industrie del Nord Italia? A che punto siamo con il famoso “gap”?
«Il rapporto di previsione dell’economia italiana e del Mezzogiorno elaborato dal centro studi di Confindustria, presentato una settimana fa, ci spiega che dopo la pandemia la differenza di crescita tra Nord e Sud è stata comunque contenuta, parliamo di uno 0,7%. Nello specifico, la crescita del Nord si è attestata a un +12,9% mentre il Meridione si è fermato a un +12,2% con un gap minimo tra le due aree rispetto a quello registrato nei 10 anni precedenti. Le previsioni per quest’anno e il prossimo ci fanno ben sperare.
Le imprese del Sud Italia si differenziano da quelle del Nord per una serie di fattori: dimensioni, produttività, accesso al credito e investimenti in ricerca e innovazione. Elementi che alimentano ancora differenze. Ma oggi il Paese gode di maggiori risorse pubbliche europee e nazionali che possono essere utilizzate per ridurre strutturalmente il gap, a partire dai fondi del Pnrr. Serve una politica industriale che punti sul Meridione come area di crescita per gli investimenti produttivi e per la nuova occupazione. Va poi scongiurata l’ipotesi che la decontribuzione per i lavoratori dipendenti al Sud non venga prorogata e, anzi, chiediamo che diventi strutturale. Il governo trovi un accordo con Bruxelles che, se punta alla coesione territoriale, non può colpire proprio misure che servono a raggiungere l’obiettivo».
In più occasioni avvertiamo il malessere delle imprese per la mancanza di personale per nuovi settori e non solo: può fotografare la situazione?
«La carenza di manodopera qualificata è un problema serio e diffuso che colpisce le imprese di tutti i settori, in particolare quelle del Sud Italia. Le cause sappiamo essere molteplici: l’invecchiamento della popolazione, l’emigrazione dei giovani verso il Nord Italia e l’estero, la mancata corrispondenza tra le competenze richieste dalle aziende e quelle offerte dai percorsi formativi. Oltre che di nuove skill legate ai nuovi paradigmi industriali caratterizzati da sostenibilità e innovazione, c’è però anche una carenza di figure più tradizionali. La formazione è sicuramente l’azione principale da intraprendere per tamponare il problema. In questo possiamo contare a Napoli e in Campania su poli universitari di assoluta eccellenza».
Qual è lo stato di salute delle Pmi meridionali e campane?
«Abbiamo il problema della microdimensione: come Piccola industria cerchiamo di sviluppare politiche di rete e favorire aggregazioni. Per accompagnare questi processi, però, servirebbero anche scelte precise di politica economica e fiscale. Per il futuro, comunque, sono ottimista, il sistema produttivo meridionale è vitale, come dimostrano anche i rilevantissimi dati sull’export della Campania, e oggi può beneficiare della posizione baricentrica del Mezzogiorno in un Mediterraneo che ha riconquistato una nuova centralità».
Le imprese del Sud guardano ancora al Nord Italia oppure è cambiato il vento? E a quale realtà economica si ispirano?
«Le imprese del Sud non guardano più al Nord Italia come ad un modello da imitare. Negli ultimi anni, infatti, si è assistito a una crescente consapevolezza delle potenzialità del Mezzogiorno, che ha portato a un aumento degli investimenti e alla nascita di nuove imprese innovative. I modelli di riferimento per le imprese del Sud sono oggi realtà internazionali come distretti industriali, start-up ed economie emergenti o chi opera in settori ad alta tecnologia. L’intelligenza artificiale, la formazione del capitale umano e il sostegno alle filiere produttive possono essere strumenti fondamentali per il rilancio del Mezzogiorno».
Innovazione: questo è ciò di cui hanno bisogno il Sud Italia e il suo settore di imprese. Un’innovazione che le imprese del Mezzogiorno cercano di sviluppare con le proprie eccellenze, guardando all’Estero e a chi ha saputo integrarle nelle proprie routine produttive. Un futuro che si cerca di conquistare, a volte con un po’ più di fatica, ma credendo fermamente che il sistema Paese possa crescere solo se cresce anche il Sud.