Il mercato del lavoro italiano presenta dati con luci e ombre. Ma quella che ci presenta il presidente di Confcooperative, Maurizio Gardini, è un’Italia del paradosso, come lui stesso l’ha definita, perché cala la disoccupazione al 7,2% con gli occupati che sfiorano i 24 milioni, ma sono 12.377.000 gli inattivi, vale a dire un terzo della popolazione tra i 15 e i 64 anni. Viene, infatti sottolineato, come la mancanza di personale sia il principale ostacolo anche per la crescita delle cooperative, divenendo oramai un problema strutturale, per le oltre 17.000 associate di Confcooperative che danno lavoro a 540 mila persone, le stesse che potrebbero assumere altri 30.000 dipendenti ma non trovano figure qualificate.
Le cooperative italiane che momento stanno vivendo? Ora che l’inflazione sta lentamente calando dove e come intervenire?
«Le cooperative sono protagoniste dello sviluppo del Paese e sono l’ossatura di quella parte di economia sociale che si fa carico di aiutare l’Italia a crescere in modo sostenibile. Lavoro e inclusione sociale sono il filo conduttore dell’azione delle cooperative che creano lavoro in Italia dove pagano le tasse e distribuiscono ricchezza senza mai delocalizzare. Realizzano il 25% dell’agroalimentare Made in Italy. Rappresentano il 30% della distribuzione al consumo e al dettaglio, il 19,6% degli sportelli bancari e portano servizi di welfare a 7 milioni di italiani. Negli ultimi 35 anni in Italia sono nate 320 impese recuperate da lavoratori, workers buy out, che rischiavano il licenziamento per cessata attività. Imprese rigenerate che hanno permesso di salvare non solo posti di lavoro, ma anche la cultura del saper fare. Stabilizzare il taglio del cuneo fiscale, ridurre i tassi di interesse, investire di più in formazione».
Che ruolo svolge Confcooperative nel panorama economico italiano oggi? Qual è l’apporto al Pil italiano?
«Confcooperative, nata nel 1919, è la principale organizzazione di rappresentanza, assistenza e tutela del movimento cooperativo e delle imprese sociali italiane e associa 17.000 cooperative che danno lavoro a 540.000 persone, di cui il 61% donne. Con un fatturato di circa 81 miliardi di euro contribuiamo al 4% del Pil. Siamo una organizzazione presente sui territori, con le nostre 22 unioni regionali e le 37 unioni territoriali, impegnata a leggere istanze e dare risposte. Il nostro movimento ha una buona tenuta, per la sua storica capacità di affrontare le criticità e di saper leggere, a volte con un po’ di anticipo e sicuramente con generosità, i bisogni delle comunità e dei territori che sono i nostri capisaldi di una economia, quella cooperativa, attenta e inserita nel contesto in cui opera. Siamo una realtà fondamentale per il Paese e una risorsa utile per affrontare le sfide di uno sviluppo equo e sostenibile».
Quali sono i principali settori su cui puntare?
«Dobbiamo accompagnare il Paese alla sfida della modernità con le radici affondate in una visione integralmente umana dei rapporti economici. E per farlo c’è bisogno di uno sviluppo armonico di tutti i settori chiave della nostra economia, senza lasciare indietro nessuno. Dall’agroalimentare alla cultura e al turismo, biglietti da visita del nostro Made in Italy. Il welfare in una nazione che invecchia e soffre per una scarsa natalità. E poi bisogna rispondere al meglio alle richieste di infrastrutture, abitazione, servizi e energia. Queste sono tutte tessere fondamentali per una crescita del sistema Paese. Per questo come organizzazione ci siamo dotati di otto federazioni di settore che coprono la totalità dei settori dell’economia italiana».
Lei stesso ha sottolineato recentemente la difficoltà di reperire addetti per lavorare, definendolo un paradosso italiano: come si spiega questo fenomeno e perché accade ciò? Ci sono delle proposte in merito per cercare una soluzione?
«Il lavoro è la madre di tutte le criticità. Da un lato cala la disoccupazione al 7,2% con gli occupati che sfiorano i 24 milioni (23.849.000), dall’altro sono 12.377.000 gli inattivi, vale a dire 1/3 della popolazione tra i 15 e i 64 anni. Il lavoro in realtà c’è, ma è difficile far incontrare domanda e offerta. Le imprese sono pronte ad assumere, ma circa la metà delle figure professionali richieste è introvabile. Solo a marzo 2024 su 447 mila posti di lavoro, il 47,8% è stato di difficile reperimento. La mancanza di personale è il principale ostacolo anche per la crescita delle cooperative, per 1 su 2 è un problema oramai strutturale. Le nostre 17.000 associate danno lavoro a 540.000 persone, potrebbero assumerne altre 30.000, ma non trovano personale formato e disponibile: nel socio sanitario, nell’agroalimentare, nel trasporto, nei servizi turistici e culturali. E questo stride con il numero degli inattivi che sono 1/3 della popolazione compresa tra i 15 e i 64 anni, ben 12.377.000 e tra loro 2.659.000 sono donne che non cercano lavoro per motivi familiari, perché assistono un familiare anziano, minore o disabile. Un dato che sottolinea ancora una volta la necessità di rafforzare le politiche di conciliazione, di offrire più servizi a supporto delle famiglie. Bisogna puntare sulla formazione per far incontrare domanda e offerta di lavoro e contrastare l’obsolescenza dei lavoratori di fronte all’innovazione tecnologica e all’impatto dell’intelligenza artificiale».
Si è scagliato contro la “tassa Lagarde”, ci spiega nel dettaglio i motivi e cosa occorrerebbe per far ripartire il settore?
«Le imprese sono in affanno e costrette alla difesa. Sono provate dai rincari dell’energia e delle materie prime, dal mismatch, ovvero il mancato reperimento di figure professionali, e dalla contrazione dei consumi interni. Nei servizi solo 1 impresa su 2 riesce ad accedere al credito. L’inflazione sta calando e come raccomanda il governatore della Banca d’Italia Panetta, la Bce deve iniziare a tagliare il costo del denaro».
Il movimento cooperativo storicamente si assume la responsabilità di sviluppare le economie locali che mantengono in vita il tessuto sociale dei territori a volte anche più problematici. Quali sono i principali ostacoli che riscontrate e al contrario le maggiori soddisfazioni?
«Le cooperative rappresentano la catena sociale del valore dell’economia di territorio che permette la copertura di bisogni e di servizi laddove le altre imprese non possono arrivare e che integra, in molti casi, i limiti di un settore pubblico spesso in ritardo o inadeguato. La cooperazione garantisce una capillarità sul territorio con piccole, medie e grandi strutture attive soprattutto nei servizi dedicati alle persone e alle imprese e che combina servizi, produzione, salvaguardando l’occupazione senza rinunciare al risultato economico. Alle politiche nazionali e a quelle comunitarie chiediamo più attenzione ai settori primari dell’agroalimentare in chiave di transizioni verde e il riconoscimento della funzione che può avere la cooperazione nella transizione digitale. Va rafforzato, inoltre, il ruolo delle comunità energetiche per produrre energia più sostenibile e va riconosciuta una fiscalità che sostenga le imprese sociali e i workers buy out».
Cosa servirebbe nell’immediato per sostenere chi vuol fare cooperazione? Di quali strumenti avete bisogno?
«La mancanza di personale è il principale ostacolo alla crescita delle cooperative, per 4 su 10 è un problema oramai strutturale a cui non sembra esserci rimedio, almeno nel breve medio periodo. L’incertezza continua a essere il sentiment più diffuso tra le cooperative che ripongono più fiducia sulle proprie prospettive di crescita che su quelle dell’economia in generale: tant’è che due su dieci temono ancora un trascinamento negativo delle crisi geopolitiche, un aumento delle tensioni e una riduzione ulteriore del potere d’acquisto dei consumatori finali. Una mancanza dal conto salato per il paese, il Censis stima in 28 miliardi il costo per il solo 2023, vale a dire l’1,5% del Pil. Rispetto allo scorso autunno i pessimisti si riducono di poco e gli ottimisti, ancora una sparuta minoranza, che confidano in un andamento migliore del ciclo dell’economia italiana, salgono solo dal 5,9% al 6,4. Ma a zavorrare le imprese non è solo la ricerca di figure professionali introvabili. I continui rialzi dei tassi hanno reso l’accesso al credito uno dei problemi più sentiti dalle aziende italiane. Nelle due giorni della nostra assemblea abbiamo avuto modo di confrontarci con il governo a cui abbiamo chiesto di contrastare insieme ogni forma giuridica, che sfruttano oltre 2,8 milioni di lavoratori. Inoltre abbiamo ribadito la necessità di arrivare a una legge sulle cooperative di comunità per evitare lo spopolamento di 5.000 comuni. Resta poi l’annoso tema dei debiti della PA. Le nostre cooperative vantano crediti per 2,5 miliardi con pagamenti medi a 92 giorni e punte di 1 anno in Sicilia. Le imprese italiane non possono continuare a fare da banche alla pubblica amministrazione».
Chiudendo, non possiamo non far riferimento all’impatto della tecnologia e soprattutto dell’intelligenza artificiale con cui anche il mondo delle cooperative è tenuto a confrontarsi, rischiando di rimanere indietro o uscirne fortemente penalizzato proprio per la mancanza di figure professionali.
Un fenomeno questo, che riguarda non solo Confcooperative, ma moltissime imprese nel nostro Paese che hanno difficioltà ad utilizzare questo nuovo e potentissimo strumento per carenza di competenze nel merito.