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Economia

Upb, manovra 2025 supera 20 miliardi, Pil a +0,8%

Maria Vincenza D'Egidio
19 Giugno 2024
Upb, manovra 2025 supera 20 miliardi, Pil a +0,8%
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Impatto sulla progressività del taglio del cuneo fiscale complessivo positivo ma il sistema per fasce di reddito anziché a scaglioni altera il profilo delle aliquote marginali

La conferma nel 2025 di alcuni degli interventi finanziati dall’ultima manovra solo per il 2024, dal taglio del cuneo, alla Zes per il Mezzogiorno, dalla riduzione del canone Rai alla detassazione dei premi, impatterebbe sul deficit per circa 18 miliardi.

Lo calcola l’Upb nella Rapporto annuale, spiegando che, aggiungendo a tale importo anche altre spese solitamente inserite nelle politiche invariate, quali per esempio gli oneri per il prossimo triennio contrattuale dei dipendenti pubblici (2025-27), l’impatto complessivo sull’indebitamento netto potrebbe superare quello indicato nel Def, di poco inferiore ai 20 miliardi.

L’Upb non si discosta significativamente dalle stime del governo sulla crescita, ma nel Rapporto annuale rimane un po’ più cauto a causa del deterioramento del contesto internazionale, definito incerto e fragile.

Sono previsti un aumento del Pil dello 0,8% quest’anno (1% la stima tendenziale del Def), una temporanea accelerazione nel 2025 all’1,1% (1,2% nel Def) e poi un rallentamento allo 0,8% nel 2026 e allo 0,6% nel 2027 (rispettivamente 1,1% e 0,9% nel Def). Una spinta arriverà dalla piena e tempestiva realizzazione del Pnrr che potrebbe indurre un aumento del Pil per quasi tre punti percentuali cumulativamente nel 2026.

Per la finanza pubblica, l’Ufficio parla invece di diversi elementi di incertezza, legati anche ai crediti di imposta, cioè Superbonus e Transizione 4.0.

«Sebbene il recente decreto legge 39/2024 abbia disposto interventi volti a contenere gli oneri del Superbonus per i prossimi anni – si legge – non si possono escludere effetti inattesi».

«L’impatto sulla progressività del taglio del cuneo fiscale complessivo é ovviamente positivo. Tuttavia il sistema per fasce di reddito anziché a scaglioni altera il profilo delle aliquote marginali. La distorsione è tale da generare una trappola della povertà vicino alle due soglie di reddito oltre le quali si abbassa o viene meno lo sgravio contributivo (25.000 e 35.000 euro), con aliquote marginali superiori al 100 per cento».

«L’aumento di un solo euro del reddito determina una diminuzione dello sconto, e quindi del reddito disponibile, di circa 150 euro quando si superano i 25.000 euro lordi e di circa 1.100 euro superati i 35.000 euro lordi. Questo fenomeno diventerebbe estremamente rilevante se la decontribuzione dovesse diventare permanente – si legge nel rapporto – Rendere il taglio del cuneo strutturale da un lato, indurrebbe un forte disincentivo al lavoro, e dall’altro, renderebbe più difficile raggiungere nuovi accordi contrattuali, questione che assume particolare importanza dopo la perdita di potere d’acquisto causata dall’inflazione. In quest’ultimo caso, per non determinare riduzioni del reddito disponibile, l’aumento del salario dovrebbe essere tale da compensare la perdita del beneficio contributivo. Con il sistema attuale, considerando dunque anche le alte aliquote fiscali, sarebbe necessario un aumento di salario di circa 2.000 euro per neutralizzare gli effetti del superamento della seconda soglia».

«Nell’ultimo decennio l’Irpef è stata interessata da diversi interventi che hanno ridotto il carico fiscale spesso a scapito dell’equità del prelievo e della sua capacità redistributiva – evidenzia l’Ufficio parlamentare di bilancio, da cui emerge che – l’effetto negativo del drenaggio fiscale nei dieci anni considerati più che compensa l’effetto positivo determinato dalle modifiche normative».

Dall’analisi condotta con il modello di microsimulazione dell’Upb emerge che per il complesso dei lavoratori dipendenti le modifiche normative hanno comportato una riduzione del prelievo di circa 3 punti percentuali, che viene tuttavia più che compensata dall’effetto del drenaggio fiscale, pari a circa 3,6 punti percentuali, con un saldo sul reddito disponibile negativo per circa 0,6 punti. Per i pensionati e gli autonomi entrambi gli effetti, della normativa e del drenaggio fiscale, sono di entità minore.

A queste modifiche della struttura dell’imposta personale si è affiancata una progressiva erosione della base imponibile dell’imposta, che ha ridotto l’equità del prelievo e la sua capacità redistributiva, evidenzia l’Upb, spiegando che è stata sottratta alla progressività dell’Irpef una quota rilevante del reddito da lavoro autonomo, comportando una violazione del principio di equità orizzontale del prelievo, creando disparità di prelievo sia tra percettori di diverse tipologie di reddito (lavoratori autonomi e dipendenti), sia tra lavoratori autonomi.

L’analisi dettagliata dell’Ufficio parlamentare di bilancio non prende in considerazione il provvedimento di decontribuzione vigente nel 2024, cioè il taglio del cuneo che invece, per i redditi inferiori a 35.000 euro, “più che compensa l’incremento di imposta reale.

«Non appare plausibile che misure” che vadano verso il ripristino di requisiti pensionistici meno stringenti “possano autofinanziarsi nel breve-medio periodo senza pesare sui saldi di bilancio, sottraendo risorse ad altri istituti del sistema di welfare – afferma Upb – Un’eventuale revisione dei requisiti di uscita verso un assetto flessibile con intervalli di età e anzianità entro cui il lavoratore possa scegliere, dovrebbe accompagnarsi all’applicazione di correttivi attuariali per gli assegni e le quote degli assegni basati sulle regole di calcolo retributive – spiega l’Upb, evidenziando che – in questa direzione si è già prudentemente mossa le legge di bilancio per il 2024 che ha rinnovato Quota 103 per un ulteriore anno, ma con la significativa modifica del ricalcolo contributivo degli assegni.

Non si può escludere che il ripristino di requisiti pensionistici meno stringenti possa facilitare il turnover tra generazioni, gli ingressi al lavoro dei più giovani e anche la stabilizzazione dei già occupati, ma restano lontane le proporzioni auspicate nel 2019 quando, all’introduzione di Quota 100, il primo canale temporaneo per l’uscita con requisiti inferiori a quelli ordinari, si sperava in almeno tre nuovi occupati per ogni pensionato senza particolare riguardo alle modalità contrattuali», evidenzia l’Upb.

FOTO: Ansa
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