Il 2024 è un anno di elezioni. Tutti guardavano a Washington ma a sorpresa anche Parigi è stata chiamata alle urne evidenziando una ripresa della destra (poi cancellata nel secondo turno), mentre a Londra la popolazione ha scelto un cambio di rotta radicale. Cosa attendersi da questa rivoluzione politica che ha scosso l’Europa? A rispondere è Alessandro Bergonzi, Financial Markets Content Specialist di Investing.com.
Dopo le elezioni in Francia il parlamento d’oltralpe appare estremamente frazionato. Quali sono gli scenari che si presentano dopo il giudizio delle urne? Quali potrebbero essere le ripercussioni all’interno dell’Europa di una Francia senza una forte maggioranza politica?
«Il parlamento francese è spaccato in tre e apparentemente sembra ingovernabile. Macron per contenere l’ondata lepenista ha dovuto offrire il fianco alla sinistra, ma l’esponente principale del Fronte Popolare, Jean Luc Mélenchon, in prima battuta non ha dato disponibilità per un governo di coalizione con i macronisti. La politica francese sembra rivivere quello che è accaduto in Italia per due elezioni di fila nel 2013 e nel 2018, con il parlamento spaccato in 3 blocchi tra centrodestra, centrosinistra e Movimento 5 Stelle. Alla fine, qualcuno dovrà scendere a compressi. Paradossalmente, però, la situazione di stallo può favorire Macron in campo europeo e internazionale, dove il presidente francese gode ancora di una forte legittimazione».
Riforme sociali a rischio (non ultima quella del sistema pensionistico), debito e rating sotto osservazione sono problemi che solitamente vengono attribuiti all’Italia. Questa volta, però, sotto la lente dell’Europa c’è Parigi. È possibile fare un parallelismo fra le due realtà, quella italiana e quella francese?
«Dal 2008 il debito francese è cresciuto più di quello italiano che comunque resta superiore se rapportato al pil (137%). Ad oggi la Francia ha un debito pubblico che sfiora i 3 mila miliardi, pari al 110% del prodotto interno lordo e quest’anno le proiezioni dicono che il deficit si avvicinerà al 5,3% del Pil, contro una media del 3% nell’Eurozona. Un livello preoccupante, aI punto che ora Parigi condivide con l’Italia una procedura europea per eccesso di deficit. C’è poi l’ombra dello spread che ultimamente si è estesa anche sulla Francia. Tuttavia, anche se il differenziale tra obbligazioni francesi e bund tedeschi è raddoppiato in poco tempo, resta sempre la metà di quello italiano. In ogni caso, l’Europa si attende dei correttivi da entrambe le Nazioni. Forse ciò che ci avvantaggia rispetto alla Francia sono le prospettive: mentre l’Italia sembra migliorare e i mercati hanno digerito il governo Meloni, la situazione francese appare in via di peggioramento a causa dell’instabilità politica».
La Francia inaugurerà tra poche settimane le Olimpiadi, un evento di caratura mondiale che porterà Parigi sul palcoscenico mondiale. Quali saranno le conseguenze, sia a livello economico che sociale, di una kermesse così importante? Quali sono le fragilità, anche sociali, che rischiano di esplodere?
«Le elezioni hanno messo in secondo piano le Olimpiadi che adesso potrebbero trasformarsi in un boomerang per Emmanuel Macron. La Francia si presenta all’evento con un primo ministro dimissionario che manterrà l’incarico solo per seguire le Olimpiadi. La campagna elettorale potrebbe aver sottratto energie importanti all’organizzazione dei giochi da cui i francesi ora pretendono un ritorno in termini economici dopo i numerosi investimenti fatti. C’è poi il capitolo sicurezza che rappresenta forse l’esame più importante per il Paese, dopo i diversi attacchi terroristici subiti negli anni passati».
Nelle recenti elezioni Londra ha deciso di cambiare marcia e dopo 14 anni di governo conservatore (e vari primi ministri che si sono avvicendati) a Downing Street arrivano i laburisti. Qual è il quadro economico che si trovano davanti? Quale eredità hanno lasciato i Tory?
«Le elezioni le hanno perse i conservatori dopo anni di scelte sbagliate. Dalla decisione di indire il referendum sulla Brexit con troppa leggerezza, sottovalutandone le conseguenze, passando per la sciagurata gestione del Covid e il surreale premierato lampo di Liz Truss. L’eredità degli ultimi anni sarà difficile da gestire per il nuovo inquilino di Downing Street. Ci sarà da fare i conti con il costo della vita, con la sanità, con le finanze pubbliche e con l’immigrazione».
Con il governo dei laburisti quali novità potrebbero arrivare a livello politico in Gran Bretagna?
«Al neopremier, Keir Starmer, non è servito fornire un programma politico dettagliato, l’importante per gli inglesi era cambiare rotta. Si parla già di un reingresso in Europa, ma i tempi non saranno brevi e con fare opportuno, qualità non scontata visto chi l’ha preceduto, Starmer per ora ha evitato di approfondire la questione. Intanto, gli basterà portare un po’ di normalità e riallacciare i rapporti con i vecchi alleati per tranquillizzare tutti. Poi dovrà affrontare le sfide interne, prima di tutto trovare soluzione agli scioperi del sistema sanitario e rivedere il “Piano Ruanda” con cui il passato esecutivo ha pensato di trasferire nel paese africano i richiedenti asilo giunti illegalmente nel Regno Unito».
L’anno scorso Londra accusava la recessione causata, anche, dalla Brexit. Quali sono i pilastri su cui potrebbe fondarsi una politica di rilancio dell’economia?
I«l primo vero esame per il nuovo governo sarà la legge di bilancio che verrà presentata a ottobre, da cui ci si aspetta di vedere importanti novità (e discussioni) in materia di tassazione. In campagna elettorale Starmer ha avuto un occhio di riguardo per i diritti dei lavoratori, promettendo di limitare le possibilità di licenziamento da parte delle aziende. Inoltre, si parla di consistenti investimenti “green” e di alzare le tasse, ad esempio introducendo l’iva sulle scuole private e una tassa sugli extra-profitti delle grandi aziende energetiche. Poca roba per colmare il deficit inglese».
La realtà, ricorda infine Bergonzi, è che nessuno ha ancora bene le idee chiare e servirà tempo, sia ai laburisti che all’intero Paese, per accettare il fatto che “la coperta è corta e alla fine da qualche parte si dovrà comunque tagliare“.