Dopo una lunga strada di sacrifici il Portogallo, come anche gli altri membri del poco lusinghiero club dei PIIGS, riesce ad uscire dalla crisi. Era il 2010 e da allora tante cose sono state fatte. Il mondo, oggi, è alle prese con problemi differenti ma Lisbona è riuscita a vincere la scommessa fatta con il resto del Vecchio Continente. La conferma anche nell’analisi di Gabriel Debach, market analyst di eToro.
Dopo la crisi economica che ha accompagnato la nazione dal 2010-2014, il Portogallo ha iniziato una significativa ripresa. Quali furono le cause che portarono Lisbona ad essere annoverata tra i PIIGS?
«Il Portogallo, come molti altri Paesi europei, ha subìto le conseguenze peggiori della crisi finanziaria dopo il 2010, venendo incluso nel blocco dei PIIGS in quanto reputato uno dei cinque “anelli deboli” dell’UE. A differenza dei “colleghi”, però, il Portogallo veniva già da un periodo complicato segnato da fasi di stagnazione e recessioni, con tassi di crescita in declino e un aumento sostenuto del deficit di bilancio. Già negli anni ’90, nonostante una crescita media del 4% annuo (che andò via via indebolendosi), il Paese accumulò una serie di squilibri che si acuirono con l’adesione all’Euro alla fine del decennio. La moneta unica privò infatti Lisbona della possibilità di gestire autonomamente la propria politica monetaria, impedendole di svalutare la valuta per favorire le esportazioni in settori tradizionali come quello tessile e calzaturiero. Ciò contribuì inoltre ad alimentare un afflusso di capitali a basso costo che si tradusse in un crescente indebitamento sia privato che pubblico. Il sistema finanziario, già debole e poco resiliente, si trovò a dover fronteggiare un aumento sostenuto del debito, tanto che il rapporto debito/PIL salì fino a superare il 110% nel 2011. In seguito, nel contesto della crisi finanziaria globale e della successiva recessione, le misure di austerità imposte per rispettare il Patto di Stabilità e Crescita dell’Unione Europea, sebbene necessarie per contenere il deficit, contribuirono ad aggravare ulteriormente la stagnazione economica. Le riforme strutturali attuate – spesso accompagnate da una pressione fiscale crescente, da un sistema giudiziario lento e da leggi sul lavoro rigide – evidenziarono le debolezze di un modello economico basato su settori a bassa produttività e poco innovativi. Queste problematiche, unite alla crisi del debito che costrinse il Portogallo a richiedere assistenza internazionale nel 2011, con un pacchetto di salvataggio complessivo di circa 78 miliardi di euro erogato da organismi come il FMI, contribuirono a consolidare l’immagine di un’economia in profonda crisi».
Qual è lo stato attuale dell’economia portoghese?
«Attualmente, l’economia portoghese mostra una graduale e sostenuta ripresa, sostenuta dalle previsioni positive della Banca del Portogallo, che collocano il PIL in una traiettoria di crescita annuale compresa tra il 2% e il 2,3% nel medio termine, superando le performance medie dell’area Euro. Questa crescita, sostenuta dal dinamismo delle esportazioni e degli investimenti, dovrebbe essere accompagnata da una riduzione delle pressioni inflazionistiche, con le previsioni che stimano un calo dell’inflazione dal 2,5% nel 2024 a circa il 2% nel 2026, segnale di un ambiente economico in cui la stabilità dei prezzi sembra progressivamente consolidarsi. L’ottimismo riguarda anche il mercato del lavoro, per il quale le previsioni indicano un aumento dell’occupazione dello 0,9% annuo fino al 2026 e un tasso di disoccupazione stabile al 6,6%. Le previsioni della Commissione europea, che indicano una crescita dell’1,7% nel 2024 e dell’1,9% nel 2025, si integrano con le stime governative, le quali prospettano tassi di crescita leggermente più robusti nel medio termine, con il piano di bilancio a medio termine per il 2025-2028 già approvato e considerato conforme alle nuove regole UE. Parallelamente, assistiamo a un significativo miglioramento nella gestione delle finanze pubbliche. Il debito pubblico, che aveva raggiunto il 130% del PIL nel 2014, è stato ridotto a circa il 95,9% e le stime prevedono un ulteriore calo fino al 90% entro il 2026. Allo stesso tempo, il deficit pubblico ha subito una trasformazione, passando da situazioni di squilibrio a un surplus dello 0,4% del PIL, sebbene la Banca del Portogallo preveda lievi oscillazioni con un deficit marginale dello 0,1% nel 2025 e intorno all’1% nel 2026, dovute alle misure di politica fiscale in atto. Tuttavia, la stabilità economica del Paese si scontra con un periodo di forte instabilità politica. il governo di Luís Montenegro è caduto dopo aver perso una mozione di fiducia in seguito a un acceso scandalo etico, portando il Portogallo così alle terze elezioni anticipate in meno di quattro anni. Questa instabilità politica rischia di aver ripercussioni sulle politiche economiche del paese, creando incertezze per gli investitori e rendendo più difficile la pianificazione finanziaria a lungo termine».
Quali sono stati gli impatti delle misure adottate a suo tempo dal governo portoghese per uscire dalla crisi del debito?
«Le misure adottate dal governo portoghese per affrontare la crisi del debito ebbero impatti complessi e profondamente trasformativi, seppure abbiano comportato un costo elevato per la società, soprattutto nel breve termine. Inizialmente, le politiche di austerità – imposte in cambio del piano di salvataggio da 78 miliardi di euro – ebbero un impatto recessivo sull’economia, determinando una contrazione della domanda interna e un forte aumento della disoccupazione, che nel 2012 superò il 17%. I tagli alla spesa pubblica e gli aumenti delle tasse ridussero il reddito disponibile delle famiglie e la domanda interna, frenando la crescita economica con una significativa compressione del PIL. Tuttavia, le riforme strutturali implementate – come la liberalizzazione del mercato del lavoro e la riduzione dei costi di licenziamento – migliorarono la competitività del Paese nel lungo termine. La diminuzione dei costi del lavoro favorì le esportazioni e attirò investimenti stranieri, contribuendo a riequilibrare la bilancia commerciale. Inoltre, la disciplina fiscale permise al Portogallo di ridurre il deficit di bilancio e di riguadagnare la fiducia dei mercati finanziari. Nel 2013, il Portogallo riuscì a rientrare nei mercati obbligazionari, e nel 2014 uscì dal programma di salvataggio. La combinazione di austerità e riforme strutturali permise al paese di stabilizzare le finanze pubbliche e di gettare le basi per una ripresa economica sostenibile».
Lisbona ha dimostrato inattese capacità di attrarre investimenti stranieri. Quali sono i fattori che hanno permesso questa svolta?
«Il cambiamento che ha attraversato Lisbona negli ultimi anni è ancora più significativo se si considera la posizione di partenza del Paese, che ha però saputo reinventarsi e diventare un vero e proprio polo di attrazione per gli investimenti esteri. Questa svolta è il risultato di una combinazione di fattori strategici, politiche governative mirate e una rinnovata immagine del Portogallo a livello internazionale. Innanzitutto, dopo anni di austerità e riforme strutturali, Lisbona ha riconquistato la fiducia dei mercati, dimostrando di poter gestire le proprie finanze pubbliche con disciplina. Questa stabilità ha creato un ambiente favorevole agli investimenti, attirando capitali alla ricerca di mercati affidabili. Anche la posizione geografica ha giocato un ruolo non da poco: situato tra Europa, America Latina e Africa, il Portogallo si è affermato come hub commerciale e tecnologico per imprese interessate a espandersi su scala globale. A incentivare ulteriormente gli investimenti sono state politiche fiscali vantaggiose, come il regime SIFIDE per la ricerca e sviluppo e l’IFICI, pensato per attrarre talenti e innovatori. Il boom del settore startup ha rafforzato questa tendenza: città come Lisbona e Braga sono diventate centri europei dell’innovazione, con una crescita degli investimenti in nuove imprese ben superiore alla media UE. Anche il turismo, in forte espansione, ha alimentato flussi di capitale nel settore alberghiero e immobiliare, rendendo il mercato portoghese sempre più interessante per gli investitori stranieri».
Spesso il Portogallo è stato visto come una sorta di paradiso fiscale per aziende ma anche come meta per pensionati. Recentemente, però, il governo ha adottato misure a favore anche delle fasce più giovani. Di cosa si tratta?
«Le misure adottate dal governo portoghese a favore delle fasce più giovani della popolazione sono molteplici e spaziano su diversi ambiti – dalla fiscalità all’alloggio, dalla sanità all’istruzione. L’obiettivo principale di queste manovre è quello di creare un ambiente più favorevole per i giovani, incentivandoli a rimanere nel Paese e a contribuire al suo sviluppo economico e sociale. Esse mirano infatti a ridurre la pressione fiscale sui lavoratori e facilitare l’accesso alla casa. Tra le principali iniziative, spicca il programma “IRS Jovem”, che prevede importanti agevolazioni fiscali per i giovani fino a 35 anni. A partire da quest’anno, inoltre, il programma è stato ampliato e migliorato, con un aumento del limite di esenzione fiscale e un’estensione della durata del beneficio fino a 10 anni. In particolare, nel primo anno di lavoro, i giovani possono beneficiare di un’esenzione totale dall’IRS fino a un determinato limite di reddito (circa 28.000 euro). Negli anni successivi, l’esenzione diminuisce gradualmente, ma rimane comunque significativa. Queste misure fiscali sono pensate per incentivare i giovani portoghesi a rimanere nel Paese e per attrarre talenti dall’estero, offrendo loro un vantaggio economico significativo nei primi anni della loro carriera. Inoltre, il governo ha introdotto agevolazioni per l’acquisto della prima casa, esentando i giovani under 35 dal pagamento di una serie di imposte, tra cui la tassa di bollo, per gli immobili fino a un certo valore. Oltre alle misure fiscali e abitative, il governo ha anche lanciato iniziative per migliorare l’accesso dei giovani all’assistenza sanitaria, con particolare attenzione alla salute mentale. È stato ampliato il programma “Take Care”, che offre supporto psicologico e nutrizionale ai giovani fino a 30 anni, e sono stati stanziati fondi per aumentare il numero di professionisti sanitari dedicati a questa fascia di età. Infine, sono state introdotte misure per sostenere gli studenti lavoratori, con l’aumento delle borse di studio e l’ampliamento dei criteri di ammissibilità, allo scopo di garantire la continuità degli studi senza doversi preoccupare eccessivamente delle difficoltà economiche».
Quali sono i rischi che corre l’economia portoghese in vista dei possibili dazi di Trump? Quale potrebbe essere il peso e le eventuali conseguenze?
«L’economia portoghese, nonostante i progressi degli ultimi anni, rimane esposta ai rischi legati a eventuali dazi commerciali introdotti dall’amministrazione Trump, in particolare per la sua dipendenza dalle esportazioni verso gli Stati Uniti, che rappresentano il 21% del totale extra-UE. Settori storici come vino, sughero e calzature – pilastri dell’export nazionale – potrebbero subire contraccolpi immediati, con costi aggiuntivi stimati fino a 280 milioni di euro annui solo per le aziende calzaturiere. Un aumento delle tariffe dal 10% al 25% rischierebbe di erodere la competitività di oltre 4.500 PMI, molte delle quali operano con margini ridotti e dipendono dal mercato statunitense. Tuttavia, il Portogallo ha costruito negli ultimi anni una resilienza che mitiga parzialmente questi rischi. La diversificazione geografica delle esportazioni, con la Germania diventata primo partner commerciale (18% dell’export), riduce la dipendenza dagli USA. Settori strategici come farmaceutico e energie rinnovabili, che contribuiscono all’8% della crescita annuale, beneficiano di contratti a lungo termine e di una domanda meno sensibile alle oscillazioni tariffarie. Inoltre, il Golden Visa continua ad attrarre capitali esteri – 500 milioni di euro nel 2024 – indirizzati soprattutto in fondi tecnologici e infrastrutture green, compensando potenziali perdite commerciali. Secondo le stime di Oxford Economics, l’impatto diretto sui tassi di crescita rimarrebbe contenuto (-0,3% del PIL nel 2025), ma le conseguenze indirette potrebbero essere più profonde. La filiera automobilistica tedesca, da cui il Portogallo importa componenti per la sua industria metalmeccanica, subirebbe ripercussioni a catena, con potenziali rallentamenti produttivi. Per contrastare queste minacce, il governo ha incrementato del 30% i fondi per R&S nel bilancio 2025, puntando a rafforzare l’innovazione in settori ad alto valore aggiunto, e sta negoziando accordi commerciali con Canada e Mercosur per diversificare ulteriormente i mercati di sbocco. In uno scenario a medio termine, l’eventuale introduzione dei dazi potrebbe accelerare la transizione del Portogallo verso un’economia knowledge-based. Il Portugal Future Fund, strumento da 2 miliardi di euro lanciato nel 2023, sta già attirando investimenti in intelligenza artificiale e biotecnologie, settori meno vulnerabili alle guerre commerciali. Il Premier Montenegro ha delineato una strategia di “flessibilità proattiva”, combinando dialogo politico con Washington e sostegno alle imprese locali per adattare i modelli produttivi. Sebbene il surplus commerciale con gli USA (attualmente a +1,6 miliardi di euro) potrebbe ridursi nel breve periodo, la crescente leadership portoghese in nicchie globali – come l’energia delle onde (dove controlla il 60% della tecnologia mondiale) – offre margini di compensazione».
La sfida, conclude Debach, sarà preservare i tradizionali motori dell’export senza frenare l’emergere di nuovi campioni industriali, bilanciando pragmatismo e visione strategica.