Il petrolio sta vivendo una fase di volatilità dettata da fattori che abbracciano più fronti. Non solo geopolitica ma anche altri elementi concorrono a rendere le quotazioni dell’oro nero sempre più sotto pressione. Le tensioni in Medio Oriente sono sempre state una discriminante fortissima per il barile ma non bisogna dimenticare gli intrecci internazionali e soprattutto la grande incognita delle elezioni statunitensi. Cosa sta succedendo sul fronte del petrolio? A rispondere è Carlo Vallotto, esperto di materie prime e metalli preziosi.
Si allentano le tensioni n Medio Oriente il prezzo del petrolio crolla sui mercati internazionale. Quali sono le dinamiche che regolano questo trend?
«I prezzi del petrolio sono crollati nella prima seduta settimanale, in seguito alla risposta di Israele al recente attacco missilistico dell’Iran. Tuttavia, la mossa di Israele sembra essere stata misurata, prendendo di mira solo le strutture di difesa aerea e produzione di missili iraniane. La preoccupazione per il mercato era se gli israeliani avessero preso di mira le infrastrutture energetiche o nucleari dell’Iran. L’offensiva più mirata tuttavia, lascia la porta aperta ad una speranza più concreta di de-escalation del conflitto e chiaramente l’andamento dei prezzi del petrolio suggerisce che il mercato è della stessa opinione vista la diminuzione del premio per il rischio incorporato nei prezzi».
Non solo geopolitica, le quotazioni risentono anche dell’apprezzamento del dollaro. Qual è il legame in questo caso?
«Il dollaro Usa ha una tendenziale correlazione inversa con il comparto delle materie prime e quindi con il settore energetico. Un apprezzamento della valuta americana, tende a mettere sotto pressione il prezzo dell’oro nero. Naturalmente in queste settimane, le situazioni potrebbero cambiare in modo piuttosto repentino in vista del risultato elettorale Usa, in base all’eventuale probabilità che salga al potere, un partito oppure l’altro».
Dallo Stretto di Hormuz transita un quinto dell’offerta globale ogni giorno. Quali potrebbero essere le conseguenze nel caso di una sua chiusura da parte del governo iraniano?
«Tendenzialmente potrebbe creare una crescita nell’incertezza, ovvero aumentare la volatilità parlando in termini di prezzo. Una drastica riduzione dell’offerta di petrolio causerebbe un immediato aumento dei prezzi, innescando un nuovo shock petrolifero. Questo avrebbe ripercussioni su tutta l’economia globale, aumentando i costi di produzione e di trasporto, alimentando l’inflazione e rallentando la crescita economica. La chiusura dello Stretto di Hormuz, un’ipotesi che periodicamente torna alla ribalta delle notizie, avrebbe conseguenze economiche e geopolitiche di portata globale. Questo stretto, infatti, rappresenta un punto di passaggio cruciale per una quota significativa del petrolio mondiale che viene trasportato dalle nazioni del Golfo Persico verso i mercati internazionali».
Altro elemento negativo per il petrolio potrebbe essere la vittoria di Donald Trump alle prossime elezioni statunitensi. Quali conseguenze potrebbero esserci per il petrolio con un ritorno dell’ex presidente alla Casa Bianca?
«La vittoria di Trump alle elezioni USA potrebbe avere delle implicazioni ribassiste per il prezzo del petrolio. Trump è sempre stato molto “vicino” all’Arabia Saudita importantissimo membro dell’OPEC e potrebbe convincere il Paese produttore ad aumentare l’offerta di petrolio nei prossimi mesi insieme agli alleati dell’Opec».
L’ex presidente americano, ricorda infine Vallotto, ha sempre promosso una maggiore produzione di energia, in particolare trivellazioni per petrolio e gas naturale, come la chiave per abbassare i prezzi dell’energia e l’inflazione in generale.