Secondo il rapporto di Greenpeace Italia “Quanto costa all’Italia la crisi climatica?” cambiamento climatico dal 2013 al 2020 è costato alle Regioni italiane circa 22,6 miliardi di euro, ovvero una media di circa 2,8 miliardi di euro l’anno. La Regione che ha registrato più danni nel periodo di tempo preso in considerazione è stata l’Emilia-Romagna, seguita da Veneto, Campania, Toscana e Liguria.
ome confermano le osservazioni di Alessandro Trigila di ISPRA, il territorio italiano oltre ad una propensione al dissesto ambientale a causa di caratteristiche morfologiche è anche fortemente antropizzato. A questo si aggiunge un altro elemento e cioè fondi pubblici insufficienti. Sempre il rapporto evidenzia che dal 2013 al 2020, sono stati trasferiti alle Regioni 2,3 miliardi di euro capitali non arrivano al 10% dei danni causati. Inoltre, poi, il 93,9% dei comuni italiani include aree soggette al dissesto idrogeologico mentre 1,3 milioni di abitanti vivono in zone a rischio frane e 6,8 milioni risultano minacciati dalle alluvioni.
«La nostra analisi dimostra che sono le persone comuni a subire le conseguenze più pesanti della crisi climatica: talvolta con la vita o con la perdita di persone care, ma anche con la perdita di case, ricordi, legami con la propria terra e con danni economici tali da compromettere qualsiasi prospettiva futura», dichiara Federico Spadini della campagna Clima di Greenpeace Italia. «A pagare il prezzo della crisi climatica dovrebbero invece essere i veri responsabili: il governo italiano, che fa di tutto per ostacolare la transizione ecologica di cui abbiamo urgente bisogno, e le grandi aziende del petrolio e del gas, come ENI, che continuano ad alimentare il disastro climatico con le loro emissioni fuori controllo».
Parallelamente Legambiente con la XIII edizione del report “Stop sussidi ambientalmente dannosi” che analizza 119 voci di sussidi, evidenzia che nel 2023 l’Italia ha speso 78,7 miliardi di euro in sussidi ambientalmente dannosi (SAD) destinati ad attività, opere e progetti connessi, direttamente e indirettamente, alle energie fossili. Una somma pari al 3,8% del PIL nazionale. Di questi 43,3 miliardi di euro, hanno interessato il settore energetico. A seguire, poi, quello dei trasporti (2,1 miliardi di euro), in particolare con un differente trattamento fiscale tra benzina e gasolio (3,1 miliardi di euro) e GPL e metano (3,6 miliardi di euro) e le agevolazioni fiscali per auto aziendali (1,2 miliardi di euro).
“In piena COP 29 e durante la discussione parlamentare della Legge di Bilancio 2025, il Governo Meloni imbocchi la strada giusta – dichiara Stefano Ciafani, presidente di Legambiente – con un impegno serio sul clima e una giusta e rapida transizione energetica verso un futuro libero dalle fossili; smettendo di finanziare un modello energetico sbagliato, basato su gas, carbone e petrolio e di puntare come rigassificatori, Cattura e Stoccaggio del Carbonio (CCS) e il nucleare facendo gli interessi delle lobby del fossile. Non è vero, come ha dichiarato la premier alla COP 29, che non c’è alternativa, questa esiste già. Dirotti al più presto risorse nella direzione dell’innovazione, dell’efficienza energetica e sulle reti e sugli accumuli e rinnovabili, semplificando i processi autorizzativi, con l’obiettivo del 91% di copertura delle fonti rinnovabili nel settore elettrico entro il 2030 e del 100% entro il 2035”.