Frutta e verdura continuano a segnare numeri in forte crescita all’estero, segno evidente che anche questo nostro made in Italy viene molto apprezzato non solo dentro i confini nazionali ma anche fuori. Ma c’è ancora tanta strada da fare, soprattutto se guardiamo alle performance di competitor europei importanti come la Spagna. I conflitti in corso, il caro-vita e le difficoltà legate agli effetti dei cambiamenti climatici, che rendono introvabili alcuni alimenti con inevitabili aumenti dei prezzi, non aiutano il settore.
Marco Salvi, presidente di Fruitimprese, la più importante associazione del settore ortofrutticolo italiano, ha parlato di sfide e di futuro con il nostro direttore editoriale Matteo Vallero negli studi romani di Business24.
Presidente il nostro made in Italy agro-alimentare è vanto per noi e una vetrina per l’estero ed in questo rientra anche il settore ortofrutticolo. Quanto vale in termini di crescita economica per il nostro Paese?
«Il settore ortofrutticolo per export vale circa 6 mld, se aggiungiamo il valore della frutta trasformata superiamo i 10 mld. Rappresentiamo oltre il 10% dell’export dell’agroalimentare italiano. Gurdando alla performance degli ultimi 10 anni siamo passati dai 4 ai 6 miliardi, quindi con un incremento di circa il 50%. Concentrandoci solo sul fresco si tratta di 3,5 milioni di tonnellate esportate. Se guardiamo a quello che fanno i nostri competitor ed in particolare la Spagna, questa ha esportato negli ultimi 20 anni circa 15 miliardi, quindi c’è tanta strada da fare. Loro hanno condizioni di mercato diversi, con le dimensioni delle imprese più grandi, sistema Paese che ha premiato maggiormente l’export attraverso accordi bilaterali che hanno permesso alla Spagna di raggiungere Paesi che per l’Italia sono ancora molto lontani».
Frutta e verdura presenti nei supermercati talvolta deludono il consumatore per gusto e per il prezzo troppo elevato. Come mai? Quanto stanno incidendo le crisi globali ed i cambiamenti climatici?
«Abbiamo perso quote di mercato importanti, il mercato distributivo è concentrato sulla grande distribuzione, i supermercati chiedono prodotti più standardizzati di una qualità costante. Il fattore qualità e quello gustativo diventa fondamentale per andare a catturare l’interesse dei più giovani. Abbiamo promosso insieme all’Istituto Piepoli un sondaggio sui giovani. Abbiamo scoperto che un terzo degli under 26 anni non consuma prodotti di ortofrutta. Su questo dobbiamo certamente lavorare. Se aggiungiamo l’aumento dei costi, dovuti al post covid e l’inflazione, il fattore peggiore. A questo ci si sono messi anche le questioni delle riduzioni produttive causate dai cambiamenti climatici e dal New Green Deal Farm to Fork della Comunità europea troppo integralista per noi, che si è data come obiettivo solo la riduzione degli euro farmaci senza dare alternative alle aziende. E’ bene però ricordare che i prodotti italiani sono quelli più puliti e migliori a livello europeo».
Si parla tanto di mancanza di manodopera nel settore agricolo. Qual è la situazione e come sopperire a questa carenza?
«La mancanza di manodopera è un problema che ci tocca da 20 anni. Nelle nostre aziende c’è questa necessità già dai primi anni 2000 soprattutto in fase di raccolta della frutta. Abbiamo dovuto attingere per la forza lavoro a Paesi extraeuropeo come quelli dell’est europeo, soprattutto Polonia e Romania. Abbiamo anche insegnato un mestiere in questo modo, e negli ultimi anni, questi stessi lavoratori, soprattutto nel post covid non sono più venuti in Italia, preferendo i Paesi nordici, per le condizioni più favorevoli. Ora siamo costretti a considerare lavoratori in Paesi più lontani, come l’Africa il Bangladesh. Ci siamo confrontati con il ministero per un’immigrazione più regolamentata, cercando di proporre formazione nei paesi di origine».
L’intervista completa a Marco Salvi (presidente Fruitimprese) è andata in onda sul canale 410 del digitale terrestre
Le importazioni di frutta e verdura fresca continuano ad aumentare negli ultimi anni, quali sono le motivazioni?
«Esportiamo, lo dicevo prima, 3 milioni e mezzo di tonnellate di frutta fresca e ne importiamo oltre 4 milioni, quindi abbiamo un gap sulla quantità di circa 500 mila tonnellate annue. Poi invece abbiamo un dato sul valore che, a fronte di 5,8 mld esportato lo scorso anno, ne abbiamo importato 5,2, quindi siamo ancora in attivo di 600 milioni, laddove però fino a qualche anno fa superavamo il miliardo. Ci sono i prodotti nazionali che vanno in concorrenza diretta e lì la questione è solo il prezzo. Poi c’è la frutta secca o quella esotica che non abbiamo a sufficienza per soddisfare il fabbisogno nazionale. Anche qui l’Europa chiede ai nostri produttori di limitare alcuni prodotti di agrofarmaci mentre gli stessi principi attivi, non pericolosi per i consumatori, vengono utilizzati da altri produttori esteri. Non è un comportamento corretto e sostenibile a livello concorrenziale».
L’ortofrutta italiana è stata protagonista al G7 di Siracusa lo scorso settembre per un futuro sostenibile e competitivo. Come è possibile secondo lei coniugare la sostenibilità e la continua espansione nei mercati internazionali?
«Si possono coniugare, intanto in mercati come Francia e Germania dove si nota la crisi dei consumi, che scendono in maniera drastica. Abbiamo anche la necessità di allargare gli orizzonti e andare in mercati più lontani che apprezzano i prodotti italiani, apprezzandone la qualità. I prodotti campioni dell’export italiani sono le mele con un miliardo a valore di export in oltre 100 paesi al mondo, poi c’è l’uva da tavola con 800 milioni di valore esportato e infine il kiwi, di cui l’Italia è leader produttiva da circa 30 anni, con 600 milioni. Con tutta questa produzione dobbiamo andare a cercare mercati lontani che significa prodotti che devono viaggiare nei container. Oggi abbiamo anche il problema di Suez con costi aggiuntivi che ci svantaggia un po’ rispetto ai nostri competitor americani. Il consumatore però non deve spaventarsi di fronte ai contenair e ai trasporti. L’Airbus 80 è il principale veivolo commerciale al mondo. Per portare in un singolo volo da Dubai a Sidney 550 passeggeri consuma 330 mila litri di carburante, Noi agricoltori con una media di 700/800 litri a ettaro possiamo gestire per un anno 450 ettari di mele, significa produrre 30-35 mln di mele, diviso per 10 kg di consumo pro capite diamo da mangiare a 3 mln di consumatori. In più l’agricoltore ha piantato 1 milione di alberi, che vuol dire tantissimo anche a livello ambientale».
Viste le sfide del comparto, nonostante i numeri siano in crescita, c’è molto da fare per stimolare i consumi ed essere più competitivi all’estero. Servono interventi più corposi e con una visione di medio-lungo termine perché, come ha detto più volte la premier Meloni, “l’agroalimentare del Made in Italy è un pezzo straordinario della nostra identità, conosciuto a livello globale“, che fa salvaguardato con ogni mezzo.