150 mila ore di lavoro, 105 giorni di chiusura, 24 milioni di euro divisi tra le due società (la francese Atmb e l’italiana Sitmb) che si sono dedicate ai lavori. Questi i primi costi della chiusura del traforo del Monte Bianco arrivata dopo la frana che il 27 agosto del 2023 vedeva coinvolta l’Alta Savoia e che, tra vari stop&go ha visto la sua fine oggi per quanto riguarda il trasporto su gomma. La linea ferroviaria internazionale del Frejus, invece, sarà riaperta tra 15 e il 30 marzo 2025. La riapertura permetterà di ripristinare anche la linea ad alta velocità Milano-Parigi. In alcuni tratti la linea risulta interrotta e per il trasporto dei passeggeri, attualmente, è prevista una linea di autobus.
Tante e su più fronti sono state le conseguenze di una situazione difficile non solo per il lato economico ma anche per quello politico con forti ripercussioni sui rapporti diplomatici Italia-Francia. Sono infatti da conteggiare in primis gli aumenti esponenziali dei costi di spedizioni (si parla di 200 euro) e le difficoltà logistiche per le 36mila auto e i 1.600 camion che ogni giorno transitavano per la zona prima della chiusura. Il tutto senza considerare anche i danni ambientali per l’aumento del traffico in zone che prima ne erano quasi prive e l’afflusso di mezzi pesanti su strade non sempre adeguatamente attrezzate. Un quadro che, a cascata, ha creato spesso pericolosi ingorghi e rallentamenti.
Un trauma per l’intero sistema produttivo nazionale ed in particolare per quello dell’area interessata come confermano le parole di Andrea Amalberto, neo presidente di Confindustria Piemonte al Corriere Torino che sottolineano l’importanza della Francia come partner commerciale anche grazie ai 6,7 miliardi di euro di importazioni ed un export che si avvicina ai 9,7 miliardi. Le cifre parlano da sole. Dal traforo passa il 4,4% di tutto il traffico di mezzi pesanti che attraversa le Alpi e il 3,3% di quello leggero. Nel 2023, nonostante le varie chiusure sono riusciti a passare oltre 1 milione 600 mila veicoli.
Risale alla fine di agosto, in seguito alla frana, la decisione ufficiale di chiudere il passaggio senza alcun rinvio come a suo tempo aveva confermato il presidente della Regione Valle d’Aosta, Renzo Testolin «Dall’ultimo colloquio avuto questa mattina con i vertici del Geie Traforo del Monte Bianco è emerso che, al momento, non c’è una variazione della programmazione degli interventi manutentivi previsti. Proprio in queste ore è evidente quanto il collegamento transalpino sia vitale per la nostra regione, per tutto il Paese e per l’Europa. Dopo aver risolto questa emergenza, non è più rinviabile un serio ragionamento politico-istituzionale sul futuro di questa infrastruttura». Interventi “non procrastinabili all’interno del tunnel” che si sono rivelati anche più complessi del previsto data la delicatezza del paesaggio e il fatto che i principali valichi alpini da cui passano le merci italiani sono diversi (Ventimiglia, Monte Bianco, Frejus, Sempione, San Gottardo, Brennero e Tarvisio). Il traffico leggero è stato ripartito tra la galleria che collega Bardonecchia e Modane, il traforo del Gran San Bernardo e il colle del Piccolo del San Bernardo tutti itinerari che hanno dovuto scontare anche la costante incognita della neve con possibilità di chiusura.
Non solo, alcuni di questi, proprio per le particolari condizioni morfologiche e per l’aumento dello stress dettato dalla pressione del traffico, sono stati oggetto di controlli di sicurezza straordinari che si sono andati ad aggiungere alla consueta serie di lavori di manutenzione ordinaria, poi rimodulati, ma che comunque hanno complicato ulteriormente la situazione. Sebbene i lavori abbiano interessato una zona meno ampia del previsto (328 metri lineari invece dei 600 inizialmente indicati) le operazioni hanno dovuto fare i conti con alcune caratteristiche idro-geologiche della montagna che cambiavano di metro in metro.