La spesa per la salute mentale si attesta intorno al 3,5% del Fondo Sanitario Nazionale, ma il bisogno di salute mentale è uno dei bisogni più insoddisfatti nel Paese. Stando ai dati della ricerca condotta nel luglio scorso per ENPAP, l’Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza per gli Psicologi, da GPF Inspiring Research, la richiesta di aiuto psicologico è aumentata di 10 punti rispetto al 2020, passando dal 29% al 39% di fruitori di terapie psicologiche.
La Meloni ha detto più volte che la salute mentale è tra le priorità del Governo. La nuova legge di bilancio porterà nel 2025 lo stanziamento per il Fondo sanitario nazionale a 136,5 miliardi di euro e l’Esecutivo sta portando avanti un’azione mirata che punta a rendere le strutture e i servizi di presa in carico sul territorio più solidi e più capaci di rispondere ai bisogni delle persone. In questo lavoro rientra anche lo stanziamento di 300 milioni di euro per il potenziamento dei servizi sociali con psicologi, pedagogisti e educatori.
Tutto questo basterà a soddisfare una domanda di aiuto in costante crescita? Abbiamo fatto il punto con Felice Damiano Torricelli, Presidente Enpap.
Secondo una vostra recente analisi cresce la richiesta di aiuto psicologico. Mi spiega le motivazioni di questo aumento e quali sono le persone che hanno più disturbi della psiche?
«Le motivazioni dell’aumentata richiesta sono da collegarsi alla pandemia e al post-pandemia che hanno messo in luce problemi che maturano ormai da decenni. Abbiamo evidenziato, anche nelle nostre ricerche passate, come le persone lamentino una condizione di grandissima precarietà nella loro esistenza, che non riguarda solo il lavoro ma anche le relazioni umane. Le famiglie sono diventate più precarie, così come le reti amicali, le proprie radici. Cioè ormai le persone vivono in una precarietà valoriale che disorienta. Ormai anche la religione non rappresenta più un faro come lo era in passato, mancano le ideologie e modelli sani a cui ispirarsi. Ad essere più vulnerabili sono le persone che si stanno ancora costruendo la propria identità, ovvero i giovani. Nel nostro progetto, Vivere Meglio, attraverso cui abbiamo fornito gratuitamente servizi di aiuto psicologico a persone affette da ansia e depressione, i disturbi più diffusi, abbiamo constatato che a soffrire maggiormente sono proprio i giovani che hanno difficoltà a radicarsi e ad affermarsi a livello identitario».

Felice Damiano Torricelli – Presidente ENPAP (ufficio stampa)
Quanti soldi vi sono destinati ad oggi?
«In Italia il servizio di salute mentale è pensato per curare le persone con patologie gravi e gravissime dal punto di vista psichiatrico. E fa fatica. Già prima della pandemia le rilevazioni del 2019 mettevano in evidenzia che questo sistema riusciva a prendere in carico il 55% a malapena di pazienti affetti da disturbi gravi e gravissimi. Oggi il Collegio nazionale dei direttori dei dipartimenti di salute mentale chiede che almeno il 5% del Fondo Sanitario Nazionale e Regionale venga destinato alla salute mentale. La quota di spesa per l’assistenza psichiatrica è in calo in media al 2,5% del Fondo, pari a poco più di 3 miliardi e mezzo, e rende l’Italia fanalino di coda in Europa tra i Paesi ad alto reddito. Per raggiungere il 5% previsto dalla conferenza unica Stato-Regioni solo per la salute mentale degli adulti, servono almeno 2 miliardi in più. Queste risorse sono essenziali per garantire l’adeguamento degli organici. Nei dipartimenti sono presenti infatti circa 25.000 operatori tra psichiatri, psicologi, infermieri e educatori, cioè 55 per ogni 100mila abitanti, oltre il 30% in meno (circa 7.500 unità) rispetto a quanto previsto dagli standard recepiti in Conferenza Stato-Regioni, che prevedono 83 operatori ogni 100mila abitanti. Quindi il servizio di salute mentale già è in deficit di suo, in più va considerato che non prende in carico chi è affetto da patologie o disagi di altro tipo. Di fatto una risposta concreta a quelle tematiche di ansia e depressione, che noi abbiamo provato a prendere in carico con il progetto sperimentale Vivere Meglio, sostanzialmente non c’è. Quindi ad oggi non c’è un servizio pubblico che si faccia carico della psicoterapia o della consulenza psicologica. Gli economisti raccontavano, già nei primi anni due mila, che l’impatto economico e sociale di ansia e depressione è tale per cui si perdono almeno quattro punti di Pil, la metà vengono recuperati se si attivano servizi di psicologia per fare stare meglio le persone in tempi anche brevi».
Sempre secondo una vostra analisi molte persone non si fanno aiutare per ragioni economiche. Un dato che deve farci riflettere. Qual è la situazione in Italia e come invertire la rotta?
«Non si fanno aiutare perché non esiste un servizio pubblico, ma per curare ansia e depressione bisogna rivolgersi a professionisti privati e molte persone non hanno i soldi per farlo, soprattutto i più giovani. Le famiglie sono in difficoltà con tutto quello che sta accadendo all’economia e al mercato del lavoro negli ultimi anni. Questo è il vero peccato: i disturbi psicologi, che interessano più del 20% della popolazione, rendono inaccessibili i talenti, la creatività, le intelligenze delle persone e in questa fase di ricerca affannosa di risorse e di rilancio, questo spreco il nostro Paese non può permetterselo. Quindi è un problema di naturale sociale, oltre che mentale. Il fatturato complessivo della categoria degli psicologici raddoppia tra il pre ed il post pandemia. La categoria fatturava complessivamente un miliardo di euro nel 2018, nel 2023 il dato è arrivato a due miliardi. Ma questo denaro proviene da famiglie che possono permettersi cure private. Il bonus psicologo ha cubato, nella sua massima estensione, 25 milioni di euro dopo il Covid. Nel 2023 era a cinque milioni di euro, il governo Meloni vuole stabilizzarlo ad un importo di 8 milioni di euro, soldi insufficienti a soddisfare la domanda. Oltretutto al bonus psicologo si può arrivare soltanto se si è già intrapreso un percorso di psicoterapia. Quindi non aiuta di fatto chi non ha denaro. Ci sono esperienze interessanti in alcune Regioni che hanno attivato servizi di psicologia di base ma anche qui non basta. Ad uno psicologo di base vanno aggiunti servizi di secondo livello, perché il medico di base non riesce a risolvere da solo tutti i disturbi mentali. Molto spesso le persone hanno bisogno di trattamenti specialistici».
La società sta cambiando, le esigenze dei pazienti stanno cambiando. Come rispondere a tutto questo? Sta cambiando anche la figura dello psicologo/psicoterapeuta?
«La ricerca ENPAP 2024 conferma i trend già emersi nelle nostre ricerche precedenti, sottolineando una crescita costante del bisogno di psicologia nella società italiana e un’evoluzione significativa del nostro ruolo professionale. Non siamo più solo ‘curatori del malessere’, ma sempre più promotori di benessere e risorse strategiche per affrontare le complessità del vivere moderno. Questi dati ci spingono a riflettere su come adattarci in un panorama in rapida trasformazione, investendo in formazione continua, competenze digitali e comunicazione efficace per affermare il valore unico della nostra professione. È il momento di cogliere le opportunità offerte da questi nuovi scenari, rafforzando la nostra identità e rendendo la psicologia sempre più accessibile e integrata nella vita quotidiana delle persone».
Come l’ENPAP sta agendo per rispondere alle trasformazioni sociali degli ultimi anni?
«ENPAP e la professione psicologica hanno fatto grandi sforzi per rispondere alle trasformazioni sociali degli ultimi anni. Si sono aggiornati, hanno rinforzato le connessioni con il mondo della ricerca, hanno guardato con attenzione all’impatto sociale ed economico che sviluppano. E lo hanno fatto mantenendo la coerenza con gli assunti etici e con le sensibilità specifiche di cui la psicologia è portatrice. Nei prossimi anni, che continueranno ad essere un periodo di profondi cambiamenti sociali, l’Ente deve continuare a sostenere i colleghi e le colleghe nei momenti di difficoltà, contrastando gap reddituali, soprattutto quello tra uomini e donne, inaccettabili. Al contempo ENPAP deve essere in prima linea nel promuovere l’innovazione e nel supportare i colleghi nella transizione digitale e nell’aggiornamento delle competenze professionali, anche per sostenere il lavoro, che è la base della previdenza. Con una caveat: le basi economiche della professione non devono mai distogliere l’attenzione dalla dimensione sociale della nostra missione. Il benessere degli iscritti, la protezione delle loro famiglie e il servizio professionale reso alla collettività sono e devono rimanere i pilastri su cui basare ogni scelta strategica di ENPAP».
Insomma, nonostante i buoni propositi della Meloni, la strada da fare è in salita. Servono interventi strutturati e mirati a curare i disagi più diffusi. Intervenire in modo intenzionale e addizionale su problemi comuni, come ansia e depressione, rappresenta una scelta strategica per costruire una società più sostenibile. Non si tratta solo di supportare il benessere individuale attraverso la terapia, ma di generare benefici sociali ed economici che si riflettono sull’intera collettività.