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Criptovalute

Tassazione criptovalute al 26%: Ecco come funziona in Europa

Redazione Business24tv
30 Dicembre 2024
Tassazione criptovalute al 26%: Ecco come funziona in Europa
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La tassazione sulle criptovalute è diventata un argomento sempre più importante in Europa

Tassazione criptovalute al 26%: Ecco come funziona in Europa

La tassazione sulle criptovalute è diventata un argomento sempre più importante in Europa, con degli approcci che variano molto da Stato a Stato. In Italia, la Legge di Bilancio 2025 ha portato delle novità, come l’aliquota al 26% sulle plusvalenze e l’eliminazione della soglia di esenzione di 2.000 euro. Questo ha acceso il dibattito su quanto il Paese sia competitivo rispetto ad altre nazioni europee. Se analizziamo le diverse strategie fiscali adottate in Europa, emerge un quadro interessante fatto di differenze profonde e di approcci molto diversificati.

L’Italia e il nuovo regime fiscale per le criptovalute

Con la conferma dell’aliquota al 26% per il 2025, l’Italia punta a una maggiore stabilità delle entrate fiscali. L’eliminazione della no tax area di 2.000 euro amplia il numero dei contribuenti e include anche chi possiede dei piccoli portafogli di criptovalute. Nonostante questo, la misura non ha convinto tutti. Molti esperti temono che queste scelte possano rendere il mercato italiano meno attraente e che possano allontanare gli investitori verso i Paesi con i regimi fiscali più favorevoli.

La prospettiva per il futuro non sembra più rosea: dal 2026, l’aliquota salirà al 33%, un segnale di un orientamento fiscale sempre più rigido. È una scelta che potrebbe penalizzare soprattutto chi desidera investire nel lungo periodo. E qui sorge una domanda: l’Italia riuscirà davvero a competere con i Paesi che stanno cercando di attrarre i capitali nel settore delle criptovalute con delle politiche più flessibili?

Germania: Il rifugio per gli investitori a lungo termine

La Germania sta adottando un approccio molto diverso, che sembra fatto apposta per chi ha una visione nel lungo periodo. Nel Paese, le plusvalenze non vengono tassate se i guadagni rimangono sotto i 600 euro all’anno o se gli asset sono detenuti per almeno 12 mesi. In caso contrario, le aliquote vengono calcolate in base al reddito, con una forbice che va dallo 0% al 45%.

Questo sistema si distingue per la sua flessibilità: da un lato protegge i piccoli investitori, dall’altro punta ad attrarre chi è interessato a costruire dei portafogli più consistenti. È un equilibrio che sembra funzionare, soprattutto considerando che la Germania rimane uno dei mercati più dinamici e innovativi all’interno dell’Europa.

Gli Stati con tassazione nulla: Un paradiso fiscale?

Alcuni Paesi europei hanno deciso di non tassare affatto le plusvalenze derivanti dalle criptovalute. Il Lussemburgo, Malta, il Belgio e la Svizzera sono tra questi. È chiaro che si tratta di strategie mirate a consolidare la loro reputazione di hub finanziari internazionali. Tuttavia, queste agevolazioni fiscali non sono un “lasciapassare” completo: in cambio, spesso vengono richiesti degli alti standard di trasparenza e di compliance normativa.

Questi regimi fiscali sembrano attrarre gli investitori e le aziende del settore blockchain, ma c’è da chiedersi se questa scelta sia sostenibile nel lungo periodo. Naturalmente, prima di qualsiasi investimento è utile considerare le previsioni bitcoin a lungo termine in modo da avere un quadro chiaro e ben informato. In un panorama in cui la regolamentazione europea si sta muovendo verso una maggiore uniformità, sarà interessante vedere se questi Paesi riusciranno a mantenere il loro status privilegiato.

La tassazione basata sul reddito in Repubblica Ceca e in Slovacchia

La Repubblica Ceca e la Slovacchia adottano un modello basato sul reddito, con delle aliquote che variano in base alle fasce di guadagno. In Repubblica Ceca, si va dal 15% per i redditi fino a 70.000 euro al 23% per quelli superiori. La Slovacchia, invece, applica delle aliquote tra il 19% e il 25%, ma offre un’agevolazione importante: chi detiene gli stessi asset per oltre un anno paga solo il 7%.

Questi sistemi cercano di bilanciare la necessità di generare delle entrate fiscali con l’obiettivo di incentivare gli investimenti a lungo termine. È un approccio che potrebbe rivelarsi vincente, soprattutto per chi vuole pianificare delle strategie di crescita nel settore.

Spagna e Francia: Un compromesso con aliquote medie

La Spagna e la Francia si collocano in una posizione intermedia rispetto ad altri Paesi europei. In Spagna, il sistema è progressivo, con delle aliquote che variano dal 19% al 28% in base al reddito. La Francia, invece, adotta un approccio più semplice, con un’aliquota unica del 30%.

Entrambi i Paesi cercano di mantenere un equilibrio tra la competitività e la sostenibilità fiscale. Tuttavia, il sistema francese potrebbe risultare più attraente per la sua semplicità, mentre la Spagna sembra puntare di più su una redistribuzione equa delle entrate fiscali.

Gli Stati con le aliquote più alte: Danimarca e Olanda

Ci sono poi dei Paesi dove la tassazione sulle criptovalute supera abbondantemente il 26% italiano. Nei Paesi Bassi, l’aliquota raggiunge il 33%, mentre in Danimarca si arriva a un massimo del 52% con un sistema progressivo. Sono delle cifre alte, giustificate spesso dalla necessità di finanziare dei sistemi di welfare molto avanzati.

Questi regimi fiscali, per quanto pesanti, non sembrano scoraggiare del tutto gli investitori, anche grazie alla stabilità economica e alla trasparenza normativa che caratterizzano queste nazioni.

Le prospettive per il futuro delle criptovalute

È evidente che le politiche fiscali avranno un impatto significativo sul futuro delle criptovalute in Europa. I Paesi con una tassazione nulla o i sistemi più flessibili, come in Germania e in Lussemburgo, potrebbero diventare i principali poli di attrazione per gli investitori. Al contrario, un aumento delle aliquote, come quello previsto in Italia, potrebbe spingere molti a cercare delle giurisdizioni più vantaggiose.

È un equilibrio delicato: da un lato c’è la necessità di regolare il mercato e di garantire delle entrate fiscali, dall’altro c’è il rischio di frenare l’innovazione in un settore che ha ancora un enorme potenziale di crescita.

FOTO: shutterstock
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