Le Big Tech iniziano ad incassare i primi vantaggi della nuova amministrazione Trump. Infatti il neo eletto presidente ha deciso di far uscire gli USA anche dall’accordo globale sulle tasse, la minimum tax che non più tardi di due anni fa era stata al centro di una lunga e faticosa trattativa in seno all’Ocse. Il provvedimento era incentrato su una tassa del 15% sugli extraprofitti transfrontalieri delle multinazionali con almeno 20 miliardi di fatturato e una redditività superiore al 10%..
Il memorandum della Casa Bianca
Secondo quanto contenuto in un memorandum pubblicato ieri dalla Casa Bianca “qualsiasi impegno preso dalla precedente amministrazione per conto degli Stati Uniti in relazione all’Accordo Globale sulla Tassazione non ha alcuna forza o effetto negli Stati Uniti, salvo un atto del Congresso che adotti le disposizioni pertinenti” ed è proprio qui il nodo gordiano. Infatti il Congresso statunitense non aveva ancora ratificato il provvedimento, a differenza di quanto fatto dall’Italia che, invece, ha recepito la direttiva europea nel decreto legislativo del dicembre 2023 diventato operativo dal 1 gennaio 2024. Non solo ma il memorandum richiede al Segretario del Tesoro di verificare la presenza di “normative fiscali in vigore che siano extraterritoriali o colpiscano in modo sproporzionato le aziende americane”. Amazon, Meta, Tesla, Microsoft, Google, quindi, non pagheranno quella imposta il cui ricavato, tra le altre cose, sarebbe stato destinato anche a finanziare spese sociali.
Cos’è e cosa prevede la global minimum tax
L’accordo prevedeva un’aliquota minima del 15% per contrastare una concorrenza fiscale definita da più parti sleale . In altre parole molti gruppi societari guadagnavano (e guadagnano) di fatto in un paese ma sfruttavano (e sfruttano) regimi fiscali più vantaggiosi in paesi terzi commercializzando “abilità e servizi” quali software (Oracle e Microsoft) , intrattenimento (Netflix), ecommerce (Amazon, eBay ed Expedia) e servizi Internet (Alphabet e Meta) con profitti che non era stato possibile finora aggredire. Profitti che secondo alcune proiezioni di Mediobanca che analizzavano i risultati delle filiali italiane, si aggiravano intorno ai 9,3 miliardi di fatturato aggregato nel 2022 ma che al fisco avevano fruttato 162 milioni di tasse. Considerando la pressione fiscale italiana il tax rate effettivo è stato del 28,3% contro un’aliquota che, rientrando nella fascia dei redditi medio-altri, avrebbe dovuto riferirsi a quell’oltre 43% riservato a chi paga le tasse nel nostro paese.
La logica alla base dell’Inclusive Framework dell’Ocse che aveva coinvolto 140 paesi, puntava a contrastare non solo la corsa al ribasso sulla tassazione delle multinazionali ma anche definire un quadro normativo chiaro per quell’economia digitale che, negli ultimi anni, aveva scoperto la pietra filosofale della monetizzazione.
Tanti soldi ma pochi investimenti
Ma il paradosso di questo sistema va anche oltre dal momento che un flusso di cassa così ampio ha spesso permesso buyback ed altre operazioni finanziarie utili per l’azienda e per gli azionisti ma pochi interventi a livello occupazionale e lavorativo e meno ancora come premialità per i dipendenti, peraltro spesso oggetto di vistosi tagli al personale. Da qui l’accusa spesso rivolta all’economia digitale, di aver accentuato ulteriormente le disuguaglianze. Una delle tante accuse. Infatti le grandi aziende del settore tecnologico sono sotto i riflettori anche per il monopolio sempre più evidente e concentrato in pochi nomi di rilievo (Amazon, Alphabet e Microsoft su tutti) che, insieme ad altri come Nvidia, hanno monopolizzato anche gli indizi azionari.
I commenti
Il vicepresidente della Commissione europea, Valdis Dombrovskis, ha dichiarato che “sulla tassazione globale dell’Ocse, rimaniamo impegnati nei nostri obblighi internazionali assunti negli ultimi anni e aperti a un dialogo significativo con i nostri partner internazionali. Mentre la Commissione europea si rammarica del contenuto del memorandum del presidente Usa, confidiamo che valga la pena prendersi il tempo necessario per discutere di queste questioni con l’amministrazione Usa, al fine di comprendere meglio le richieste e spiegare anche la nostra proposta”.
Anche l’ex commissario UE all’Economia Paolo Gentiloni che fu presente durante i colloqui per l’accordo, ha dichiarato su X “Gli Stati Uniti fuori dall’accordo globale sulla tassazione delle multinazionali. Anni di lavoro messi in discussione”.