Il presidente USA Donald Trump sta mantenendo tutte (o quasi) le sue promesse elettorali. In particolare quelle riguardanti i dazi commerciali che sono stati il cavallo di battaglia della sua campagna elettorale. Ma con l’arrivo delle tariffe commerciali si sono scatenate anche le rivendicazioni di quegli stati che sono stati colpiti direttamente. Il tutto sullo sfondo di un quadro complesso che coinvolge anche il Vecchio Continente a sua volta al centro di una rete di scambi e triangolazioni sia con gli USA che con i BRICS ed altri poli di produzione mondiale. Cosa attendersi da questo mosaico particolarmente variegato e i cui sviluppi potrebbero prendere direzioni inattese? A rispondere è Alessandro Bergonzi Financial Markets Content Specialist di Investing.com.
Con le nuove politiche sui dazi Europa e USA sono sempre più divisi?
«Come già mostrato nelle prime settimane alla Casa Bianca, ma anche durante il primo mandato, imporre i dazi è il modo con cui Trump chiama al tavolo delle trattative gli altri Paesi. Il tycoon vuole che l’Ue ammorbidisca la regolamentazione del digitale, rinunci ai contenziosi con le Big Tech e aumenti la spesa militare per la Nato. Il suo modo di trattare con singoli Paesi, inoltre, è un metodo per cercare di spaccare Bruxelles. Ed è proprio questo il punto più delicato per il Vecchio Continente, se gli Stati Uniti possono agire liberamente, l’Ue fa fatica a muoversi altrettanto agilmente, a causa delle diverse anime da cui è composta».
Le ultime novità sul fronte dell’AI low cost possono cambiare le sorti della corsa al predominio dell’Intelligenza artificiale?
«Il caso DeepSeeck ha messo in discussione l’intero sistema su cui si è fondata la corsa all’intelligenza artificiale fino ad ora, ovvero pochi operatori che fanno enormi investimenti. La startup cinese, fino a qualche giorno prima ai più sconosciuta, è riuscita a creare un modello AI con meno di 10 milioni di dollari. E secondo una serie di test effettuati da terzi, l’accuratezza della soluzione sviluppata da DeepSeek si è rivelata superiore a Llama 3.1 di Meta, GPT-4o di OpenAI e Claude Sonnet 3.5 di Anthropic, dalla risoluzione di problemi complessi ai calcoli matematici e alla codifica. In particolare, per elaborare i suoi modelli DeepSeek ha usato i chip H800 di Nvidia, che hanno prestazioni inferiori e non sono vietati in Cina, mostrando così che non è per forza necessario utilizzare l’hardware più sofisticato per la ricerca sull’intelligenza artificiale d’avanguardia. Questo cambia per forza la corsa all’AI, e il modo di affrontarla, probabilmente la velocizza, ma non ne determina il vincitore».
Il 2025 ha visto un generale appoggio a Trump. Il mercato USA, dopo l’avvio delle politiche protezioniste e la volatilità in divenire, è ancora un mercato interessante?
«Il mercato ha scontato l’effetto Trump già nell’ultima parte del 2025. Ora bisogna fare i conti con l’attuazione di certe politiche e sorgono i primi dubbi. Ma l’aumento della volatilità, più che ai dazi, è probabilmente dovuto alla sopravvalutazione di titoli ben noti. Ora, dopo la fiducia, i mercati chiedono di giustificare certi valori. Tesla, ad esempio, è scambiato oltre 150 volte gli utili, Broadcom oltre 170 volte. Non si tratta di valutazioni razionali. Al tempo stesso, per pochi titoli carissimi ce ne sono molti sottovalutati che aspettano la giusta congiuntura per correre in Borsa. Si può quindi guardare alla scala di capitalizzazione di mercato, dato che le società piccole e medie sono generalmente valutate in modo più conveniente rispetto alle large cap. Contando anche sul fatto che, se l’amministrazione Trump dovesse promuovere protezionismo, politica fiscale più favorevole e regole burocratiche meno severe, le piccole e medie imprese Usa potrebbero liberare risorse da impiegare negli investimenti per crescere più velocemente».
Il dollaro è una moneta che dimostra una rinnovata forza ma è solo grazie all’”effetto Trump”? Quali sono, invece, le previsioni per l’euro?
«Sicuramente le politiche di Trump hanno un effetto importante sul rafforzamento del dollaro e questo è un controsenso perché il leader repubblicano ha sempre sostenuto un dollaro debole in modo da favorire l’esportazione. Tuttavia, l’idea è che con i dazi i consumatori americani acquisteranno meno beni importati perché più cari, abbassando la richiesta di valuta estera. Inoltre, le tariffe potrebbero far risalire l’inflazione, costringendo la Fed a frenare l’abbassamento dei tassi d’interesse. Che del resto è quello che già sta succedendo, con il presidente Jerome Powell che ha deciso di stoppare i tagli al costo del denaro, in attesa di valutare gli effetti delle politiche di Trump. L’euro, al contrario, potrebbe perdere valore qualora la Banca centrale europea decidesse di continuare ad abbassare i tassi, nel tentativo di incentivare la crescita economica».
La divergenza Fed-BCE e il diverso andamento tra euro e dollaro rappresentano una diversificazione che potrebbe favorire oppure condannare l’Europa?
«Un euro più debole può favorire le esportazioni europee, aiutando l’industria manifatturiera e le economie orientate all’export come Germania, Italia e Francia. Quindi, se ben gestito, un euro debole può rafforzare la competitività e stimolare la crescita. Ma la domanda è, a Trump può andar bene tutto questo? Inoltre, c’è da considerare l’inflazione che in Ue, tra fine 2024 e inizio 2025 ha risollevato la testa. L’attenzione ora è concentrata sulla necessità di rilanciare il pil, ma il margine di errore è minimo».
Le incertezze politiche europee quanto hanno pesato sull’attuale situazione economica del Vecchio Continente? Partendo da questa fotografia è consigliabile investire in Europa?
«Sicuramente l’assenza dei governi in Francia e Germania, Paesi che per anni hanno guidato l’Ue, si fa sentire. Industrie vecchie, costi elevati (soprattutto energetici) ed eccessiva burocratizzazione stanno condannando l’Europa sul piano economico. Obiettivamente, al momento, il Vecchio Continente ha molti svantaggi competitivi, per cui è difficile che un’impresa che può scegliere decida di fare business proprio qui».
Quale potrebbe essere il cigno nero dei mercati nel 2025?
«L’arrivo del cigno nero è imprevedibile per definizione. Ciò che deve far riflettere è che veniamo da oltre due anni di rally totale dei mercati. È salito qualsiasi tipo di asset. Molte Borse mondiali viaggiano sui massimi. Wall Street in testa, ma anche in Germania, nonostante l’economia vada malissimo, il Dax continua ad aggiornare record storici. Sale la Borsa argentina mentre il Paese naviga a vista. Il Bitcoin è letteralmente esploso. L’oro, bene rifugio per eccellenza, dovrebbe patire gli elevati rendimenti azionari. Macché, neanche per sogno, e punta ai 3.000 dollari l’oncia. La Fed taglia i tassi d’interesse e i rendimenti dei Treasury che fanno? Dopo una lieve discesa, si rialzano, tornando ai livelli di aprile, quando i tassi erano più alti di un punto percentuale. Il pericolo è che la tipica emotività con cui si muovono i mercati, in caso di correzione, causi un sell-off a catena. Come tutto è salito, tutto potrebbe scendere. Il brutto (o il bello, dipende dai punti di vista) è che non possiamo prevederlo».
L’unico modo per contrastare il pericolo, secondo le conclusioni di Bergonzi, è calibrare gli investimenti sulle proprie necessità, senza farsi prendere dall’euforia quando tutti comprano, né dalla depressione quando tutti vendono.